lunedì 31 dicembre 2012

In Suo onore


FINE SI, FINE NO - "Pensieri catastrofici"



Non preoccupatevi - ha detto attraverso organi di stampa il portavoce della Nasa Dwayne Brown - il 21 dicembre sarà un giorno come gli altri”. Tutti i più grandi scienziati hanno rilasciato dichiarazioni per tranquillizzare le popolazioni di tutto il mondo sul tema “fine del mondo”, eppure quella del popolo Maya resterà la più grande beffa di tutti i tempi a livello mondiale.
Alcuni scettici hanno deciso di fare di questo atteso evento un momento di giovamento per la comunità di appartenenza; in molte città americane, hotel e ristoranti hanno programmato serate a tema, sono state organizzate mostre d’arte con quadri e sculture sul giudizio universale, spettacoli teatrali, cene con menù dedicati ai sopravvissuti, anche in forma gratuita.
I furbi a caccia di business, invece, hanno ideato kit di sopravvivenza che contenevano grano saraceno da seminare, una scatoletta di pesce, candele, fiammiferi, penna e blocnotes, una fune e una bottiglia di vodka. I superstiziosi e gli apocalittici li hanno comprati.
Da sempre la fine del mondo appartiene alla letteratura popolare ma quest’ennesima, definitiva catastrofe globale si è trasformata in “psicopatologia della fine”. Una psicosi collettiva che ha visto la corsa alla costruzione o acquisto di bunker ed a riempire le cantine di scorte di cibo, mentre in televisione imperavano maratone cinematografiche sull’immaginario catastrofista. Da non dimenticare inoltre le varie mete geografiche, Cile, e più vicino a noi la Maiella e Cisternino in Puglia, dove si sono registrate numerose vendite immobiliari e gli alberghi hanno fatto il sold out, in quanto luoghi che sarebbero stati risparmiati dalla furia del cataclisma. Un altro paese sacro, nel sud della Francia, è stato isolato su tutto il perimetro dal traffico aereo per evitare che la gente si lanciasse sulla città con il paracadute.
Ma cosa si cela dietro questa sproporzionata paura della fine? La paura è una intensa emozione derivata dalla percezione di un pericolo, reale o supposto: essa è una delle emozioni primarie, comune sia alla specie umana, sia a molte specie animali.
Il senso di morte, di cui ogni persona prende consapevolezza nella tarda infanzia, ha origine proprio da questa paura primaria, resta nell’ombra e riaffiora ogni qual volta l’imprevedibilità della natura si manifesta ricordando all’uomo la sua impotenza.
L’angoscia scaturita dalle catastrofi annunciate non è rappresentata soltanto dalla paura di morte e al pensiero di perdere i propri cari, ma racchiude in sé l’idea che gioie e sofferenze, sperimentate fino a quel momento, siano state vissute invano, mettendo in crisi l’essenza stessa della vita. L’istinto di conservazione prevale e fa scattare la frenetica ricerca di un luogo sicuro, un posto che ricordi il grembo materno, uno schermo protettivo dal pericoloso mondo esterno, che agevoli l’illusione di continuare ad “esistere” nonostante l’incertezza circostante. Questo pensiero è talmente radicato da sovrastare persino le più nefaste fantasie sulle difficoltà legate ad un’eventuale ricostruzione del mondo da parte dei sopravvissuti.
Oltre 200 profezie catastrofiche sono state individuate dagli scienziati, la maggior parte di queste è stata identificata per data e orario precisi. L’avvicinarsi di una scadenza così definita provoca inevitabilmente l’innalzamento dei livelli di ansia che si propagano velocemente attraverso vari veicoli, a partire dall'azione dei media fino al passaparola quotidiano, creando l’allarmismo di massa.
C’è però un altro aspetto che vorrei considerare, che riguarda un riscontro diretto avuto nelle conversazioni legate al 21 dicembre 2012. Una frase è stata ridondante e, a mio avviso, significativa perché collocata nel nostro contesto culturale e in questo momento storico dell’Italia: “Speriamo che arrivi davvero la fine, perché non si può più vivere così”. Una nota depressiva, di rassegnazione e di sfinimento morale accompagna queste parole. Tuttavia mi piace pensare ad un’altra interpretazione, più positiva, che vede sì una malinconia di fondo legata al bilancio tipico della fine di ogni anno, ma che si accompagna alla speranza di un nuovo inizio, propositivo il più possibile.
Si può pensare quindi che la profezia Maya sia stata un modo per fermarsi e ri-focalizzarsi su se stessi e sulle cose davvero importanti della propria vita? Potrebbe essere stato uno strumento per immaginare di poter fermare il mondo e ritrovare, nel silenzio che segue, il proprio equilibrio?
Venerdì 21 dicembre 2012 qualcosa però è successo: molti genitori sono rimasti a casa trovando a tutti i costi il tempo per i loro figli, molte altre persone hanno pronunciato un ti voglio bene a chi non lo dicevano da tempo e molti altri gesti d’affetto e umanità sono stati incentivati dalla paura che potesse essere l’ultima occasione per farlo. Dunque, se questo è l’effetto delle profezie catastrofiche, benvenuta fine del mondo!

dott.ssa Ivana Siena

sabato 29 dicembre 2012

DALLA "VITA VERA"


«Sono autistico, ti insegno come si fa a diventarmi amico»




Una fotocopia. Con quattordici consigli. Quattordici modi per imparare a stare insieme. A stare attenti senza far pesare nulla. A fare i compiti insieme senza temere che quando non si è proprio uguali le cose non si possono fare. Ad abbassare la voce, perché i suoni e i rumori troppo forti sono amplificati e rimbombano nella testa di Riccardo lo confondono e gli fanno paura. E allora quelle parole, dette anche con amore, possono avere l'effetto opposto. I suoi compagni di scuola stanno imparando. Piano e veloci, come gli adolescenti possono fare. «Non ditegli come fare, ma mettetevi accanto a lui e fatelo insieme», scrive la mamma Loredana, a scuola, l'istituto Itsos Albe Steiner, ad aspettarlo, per il cambio di ora tutti i giorni. La fatica e l'amore, insieme. Riccardo è un ragazzo autistico, ha appena compiuto quindici anni. Quando ha sostenuto l'esame di terza media ha portato con sé il suo labrador. Gli hanno permesso di lasciarlo in classe sotto il banco. Da quando c'è Peggy, Riccardo ha iniziato a parlare. La luce, se entra troppo forte attraverso i suoi occhiali scuri può fargli male, ferire i suoi occhi. Allora fate piano quando aprite le finestre. E i suoi compagni ora ci pensano prima di spalancarle. La mamma è lì, alla riunione di classe. Il suo sogno è di spedirle a tutte le scuole d'Italia. Perché può servire agli altri. Perché è inutile prendersela con le carenze dei fondi pubblici quando è troppo complicato. Meglio scrivere una preziosa guida all'altro. E farne centinaia di fotocopie. Fax. Mail.Eccola la prima regola: «Sono un bimbo solo, perché il mio autismo mi impedisce di comunicare e sono molto triste perché anche io vorrei giocare e parlare con te». Per diventare amici bisogna conoscersi, prima: «L'autismo mi impedisce di comunicare, per me è impossibile guardarti negli occhi e non riesco a rispondere ad una tua domanda. Le mie risposte sono dei movimenti impercettibili». Bisogna imparare ad essere più sensibili, più delicati. Non solo per Riccardo. Mamma Loredana si è sentita persino chiedere se era stata una mamma fredda con suo figlio. Lo racconta, adesso con un certo fastidio. Vecchie teorie (para)mediche che non sanno tener conto di genitori che di fronte alle difficoltà non mollano. Racconta di quella volta che Riccardo era andato con il papà dal veterinario e ha pronunciato la sua prima frase: «Attento al tuo gatto, il mio pastore tedesco, Killer, lo mangia». E allora l'intuizione di regalargli un cucciolo di Labrador. E quel cane diventa il suo ponte verso il mondo. Persino il suo primo maestro di sorrisi. Dentro le quattordici regole di mamma Loredana c'è un cammino di vita a tratti molto faticoso. Otto scuole che hanno chiuso la porta perché ci sono situazioni considerate troppo complicate da gestire. Poi una preside dà un'intera aula vuota tutta per Riccardo e la sua insegnante di sostegno. E poi la classe «vera». Regola numero dieci: «Parlami lentamente con frasi brevi e con parole facili, tutto mi arriva rallentato e se non capisco aiutami. Trasformati in un mimo che racconta le storie con le mani e con la faccia». «Voglio che si realizzi come persona nella società», dice la mamma. Che una volta ha deciso, ad un congresso sull'autismo di fare una cosa che forse nessuno aveva mai fatto prima: far partecipare Riccardo. «Si parlava anche di lui, mi è parsa la cosa più naturale del mondo. Non solo professori, e luminari». Racconta di quella volta che davanti a un cartone animato vide Riccardo sfarfallare con le braccia. E allora cominciò a imitarlo perché quello doveva essere il modo per entrare in comunicazione con lui. Erano i primi sentimenti. «Ci sono le insegnanti che in questi anni ci hanno ringraziato dopo i timori iniziali». Perché i compagni di scuola imparano a diventare più attenti e sensibili. Non solo alla lavagna, ma alle persone. Tutte. Il messaggio che si vuole lanciare è che con la collaborazione di tutti, istituzioni e genitori, possiamo rendere la vita più semplice a questi ragazzi Più se ne parla, più soluzioni si trovano. E soprattutto si incoraggiano le famiglie che si sentono sole.Nicola SalduttiRIPRODUZIONE RISERVATA
Saldutti Nicola

mercoledì 19 dicembre 2012

LA DEPRESSIONE NATALIZIA




Euforia collettiva, shopping forzato, riunioni con i parenti. Per molte persone il Natale diventa uno “spettro” che fa paura.  L’atmosfera natalizia coincide con la fine dell’anno, con lo stilare il bilancio obbligato con se stessi degli eventi più o meno importanti vissuti, con la paura che qualcosa improvvisamente cambi allo scoccare dell’ultima mezzanotte dell’anno e con la sensazione di essere inghiottiti da un futuro tanto pieno di nuove speranze quanto di incertezze.
''Mai come in questo periodo - sottolinea il neurologo Sorrentino - si registra un'incidenza così alta di depressione, a causa del cambio di stagione e delle abitudini, della riduzione della luce e soprattutto del confronto fra l'euforia collettiva e il proprio malessere. Questo clima di felicità a tutti i costi - spiega - aggrava il disagio psichico preesistente, la persona si avvita su se stessa, guarda in maniera pessimistica il proprio passato e si sente sola”.
Il Natale, inoltre,  porta con sé una alterazione dei regolari ritmi di vita, che  espone a stimoli insoliti: le pause dal lavoro portano spesso dei vuoti che non si sa spesso come riempire e la convivenza prolungata e forzata con altre persone, con i ruoli sociali imposti in primis, costringe a fare i conti con aspetti irrisolti delle relazioni, magari anche conflittuali, che generano ansia e tensione.
Il vissuto di solitudine quindi si mescola al senso di colpa nei confronti di chi, nel medesimo contesto invece, vive questo evento come una festa e come momento peculiare di  incontro e ritrovamento dei legami familiari.  Da non sottovalutare inoltre l’angoscia e il senso di vuoto accentuati da eventuali lutti, o perdite,  subiti e non ancora superati. L’assenza della persona cara, come anche un cambiamento radicale sperimentato,  vengono avvertiti maggiormente quando nelle festività il quotidiano si ferma e il caos dei preparativi diventa solo un fastidioso rumore.
 Il malessere percepito come più opprimente è una spia che la mente accende rispetto a qualcosa vissuto come irrisolto o problematico. L'ascolto di questo segnale è il primo passo per individuare il problema nascosto, la causa vera del dolore ed è un processo fondamentale da parte di colui che lo vive come anche delle persone che lo circondano. Convertire questo disagio in un’opportunità per guardarsi dentro e conoscersi, imparare a chiedere aiuto sono fasi imprescindibili per andare incontro a una reale rinascita, che rappresenta poi ciò che il significato del Natale vuole insegnare. 

Dott.ssa Ivana Siena

mercoledì 12 dicembre 2012

RESILIENZA


Speranza è il sentimento con cui guardiamo fiduciosi al futuro; resilienza è forza d’animo con cui superiamo i traumi subiti. La vita regala a ognuno esperienze positive e negative. Coloro che coltivano speranza e resilienza riescono a gioire delle prime e a superare le seconde, diventando più forti laddove sono stati feriti. 

venerdì 7 dicembre 2012

Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali V


Approvati i criteri diagnostici definitivi del DSM V: cosa cambia?

L’American Psychiatric Association (APA) ha approvato i criteri diagnostici definitivi della quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (noto con l’abbreviazione DSM-V) che sarà pubblicato nella primavera del 2013. Si tratta della prima revisione significativa in quasi due decenni, frutto di un lavoro durato 10 anni che ha coinvolto oltre 1500 esperti di tutto il mondo.
Il numero dei disturbi classificati sarà approssimativamente lo stesso presente nel DSM-IV e  sarà diviso in tre sezioni:
  • la  sezione 1 fornirà un’introduzione al manuale con informazioni su come utilizzarlo;
  • la sezione 2 riporterà le diagnosi categoriali suddivise in 20 capitoli contenenti disturbi tra loro affini soprattutto per caratteristiche sintomatologiche e comuni vulnerabilità;
  • La sezione 3 includerà condizioni patologiche che richiedono ulteriori studi prima di essere considerate dei disturbi veri e propri.
Una modifica generale introdotta riguarda il superamento del sistema multi assiale: ogni diagnosi conterrà le vecchie descrizioni di asse I,II, e III con separate notazioni per i fattori psicosociali e contestuali (ex Asse IV) e per la disabilità (ex Asse V).
Tra le modifiche ed innovazioni  più rilevanti ci sono:
1. Introduzione del Autism spectrum disorder: i criteri incorporeranno diverse diagnosi presenti nel DSM IV (autismo, sindrome di Asperger, Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia, Disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato);
2. Il Binge eating disorder cessa di essere un Disturbo dell’Alimentazione Non Altrimenti Specificato e diviene disturbo autonomo;
3. Viene introdotto il controverso Disruptive mood dysregulation disorder per arginare il fenomeno della sovradiagnosi di disturbo bipolare in età evolutiva;
4. Viene introdotta la dermatillomania definita Excoriation (skin-picking) disordertra i disturbi ossessivo-compulsivi;
5. Viene introdotto il disturbo da accumulo (Hoarding disorder);
6. La pedofilia cambia nome e diventa Pedophilic disorder;
7. Per definire i disturbi di personalità viene proposta una metodologia tratto-specifica
8. Il Posttraumatic stress disorder (PTSD) sarà incluso in un nuovo capitolo del DSM chiamato: Trauma- and Stressor-Related Disorders;9. Viene rimosso il lutto dai criteri di esclusione per fare diagnosi di Depressione maggiore, anche questa una scelta molto controversa;
10. Viene creata una categoria onnicomprensiva di disturbi specifici dell’apprendimento;
11. Il Substance use disorder combinerà sia le categorie di abuso di sostanze che quelle di dipendenza da sostanze.
Nella sezione 3 che riguarda disturbi che necessitano di ulteriori studi sono stati inseriti:
  • Attenuated psychosis syndrome
  • Internet use gaming disorder
  • Non-suicidal self-injury
  • Suicidal behavioral disorder