Il
blocco mentale e la paura di vincere
Nel
contesto sportivo la paura si esprime generalmente attraverso l’ansia. L’ansia
di non mostrare le proprie capacità,
l’ansia di farsi male, l’ansia del non deludere l’Altro significativo (ossia la
figura di riferimento), l’ansia di non raggiungere l’obiettivo previsto. È
quindi intesa prevalentemente come paura
di perdere, ma esiste un altro fenomeno legato all’ansia dell’atleta, più
complesso, che prende il nome di Nikefobia,
terminologia greca composta da "nike" vittoria e "phobia"
ovvero paura.
Se la paura
di perdere è socialmente accettata e comprensibile, la paura di vincere resta indecifrabile a causa della sua
irrazionalità. Come
è possibile che esista la paura di vincere?
Per lo sportivo, amatore quanto più per l’agonista, questa fobia segnala la presenza di conflitti psicologici di molteplice natura. In primis potrebbe rappresentare il timore dell’atleta di infrangere alcune gerarchie consolidate che, fino a quel momento, lo hanno deresponsabilizzato e tenuto nell’ombra. Eccellere rispetto ad un compagno notoriamente più formato in termini di esperienza potrebbe portare l’atleta ad attribuirsi un ruolo per il quale, inconsapevolmente, non si sente pronto. Ecco che l’anonimato di posizioni intermedie diventa psicologicamente un obiettivo funzionale al suo scopo.
Per lo sportivo, amatore quanto più per l’agonista, questa fobia segnala la presenza di conflitti psicologici di molteplice natura. In primis potrebbe rappresentare il timore dell’atleta di infrangere alcune gerarchie consolidate che, fino a quel momento, lo hanno deresponsabilizzato e tenuto nell’ombra. Eccellere rispetto ad un compagno notoriamente più formato in termini di esperienza potrebbe portare l’atleta ad attribuirsi un ruolo per il quale, inconsapevolmente, non si sente pronto. Ecco che l’anonimato di posizioni intermedie diventa psicologicamente un obiettivo funzionale al suo scopo.
Grande
importanza ha anche il livello di autostima sperimentato dal soggetto stesso
che rinvia la sua grande performance, nonostante i tecnici e l’allenatore lo
ritengano pronto, per non assumersi poi la responsabilità del proprio talento.
Ciò comporta l’analisi di un’altra prospettiva che riguarda l’impegno nel dover
mantenere uno standard di prestazione, ove ci sia un apice raggiunto, che sia adeguato
e soddisfacente agli occhi di figure significative quali l’allenatore, la
famiglia, il pubblico e la critica, oltre che nei confronti di se stesso
ovviamente.
Nel calcio, la Nikefobia può rappresentare uno squilibrio tra la
volontà di raggiungere l’obiettivo finale e la reale capacità di far emergere
le qualità dei singoli giocatori, che si traduce in una prestazione non
all’altezza delle esigenze. Il giocatore si è allenato duramente, ma si trova
di fronte a questo inspiegabile meccanismo mentale che non gli fa superare il
suo limite e lo priva delle energie per raggiungere il traguardo. Questo
fenomeno è da valutarsi soprattutto quando la competizione è con avversari
dello stesso livello di preparazione tecnica, e l’atleta, che sa di poter
compiere l’azione che risolverebbe a proprio favore l’intero match, si blocca
ripetutamente ad ogni occasione di svolta, innescando una serie di insuccessi
che lo fanno dubitare di se stesso e delle proprie capacità. Con il ripetersi
di questo copione il giocatore rischia di intaccare inesorabilmente la propria autostima
e l’unico modo per spezzare questa catena di errori sta nell’affrontarli nel
loro significato più profondo.
Come può, tuttavia, un fenomeno
individuale, condizionare la sorte di una squadra intera?
Quando una
squadra di calcio accumula una serie di sconfitte consecutive, nella concezione
comune si considera la spirale di insuccessi raccolti come effetto di una “paura
di vincere” collettiva. Ciò appare riduttivo in quanto nel campo da gioco non
c’è solo un giocatore contro il suo avversario a determinare l’esito della
gara, ma sono da considerare anche molti altri fattori che incidono
sull’atteggiamento mentale di tutta la squadra. Infatti, le pressioni esterne
quali ad esempio le critiche, più o meno costruttive, dei mezzi di
informazione, il giudizio dello staff tecnico e societario e le aspettative
della tifoseria incidono sullo stato mentale collettivo che condiziona la
prestazione agonistica.
I molteplici
fattori esterni uniti alla presenza della paura di vincere in uno o più
giocatori, se non riconosciuti ed affrontati, possono innescare negatività
ripetute, intese come risultati fallimentari, che influiscono sull'autostima del
gruppo determinando uno status collettivo di demoralizzazione che si protrae
nel tempo (spirale della sconfitta).
Nikefobia e
blocco mentale della squadra sono quindi due concetti diversi ma che spesso
viaggiano parallelamente nel segnalare la difficoltà di esprimere al meglio una
prestazione sportiva.
dott.ssa Ivana Siena
Fonte: www.forzapescara.tv