lunedì 29 aprile 2013

I NOSTRI SERVIZI


La PSICOTERAPIA INDIVIDUALE a orientamento sistemico pone al centro del suo interesse l'individuo e le sue relazioni.
   

Il malessere psicologico di un individuo può manifestarsi in modo generalizzato ma, di solito, esso si manifesta con diversa intensità nei diversi contesti relazionali. A volte si avvertono problemi ricorrenti sul lavoro, o in famiglia o nelle relazioni di coppia o nell'ambito della sessualità; questi mettono l'individuo in una condizione critica e ripetitiva.
Le relazioni instaurate nei diversi contesti hanno infatti ripercussioni diverse sulla persona che, per risalire a quei meccanismi relazionali che le procurano sofferenza, deve essere aiutata ad analizzare i diversi tipi di relazione.
L'attenzione del terapeuta sarà rivolta ai pensieri, alle emozioni, alle storie e ai vissuti della persona con un'attenzione particolare alla dimensione relazionale ed interattiva. Nell'approccio sistemico l'individuo viene aiutato a comprendere i modelli relazionali alla base dei comportamenti che creano sofferenza.

LA PSICOTERAPIA DI COPPIA: si sceglie ove si riscontrino problemi di relazione, conflittualità, crisi della coppia, difficoltà nella sfera sessuale, ma anche nel caso di sintomi di tipo nevrotico o psicosomatico a carico di uno dei suoi membri.

Il lavoro del terapeuta è volto a riconoscere il significato del disagio o del sintomo contestualizzandolo alla luce della fase del ciclo vitale in cui esso si manifesta, delle regole di relazione della coppia, della storia personale dei suoi membri e di quella delle loro famiglie d'origine.
Mediante la relazione terapeutica, il terapeuta introduce gli elementi utili ad eliminare il disagio, a modificare le regole rigide e ripetitive che la coppia mette in atto, a riportare l'equilibrio precario in cui si trova la coppia ad uno più funzionale ad essa, facendo leva sulle risorse e sulle potenzialità dei partner.
In altri casi, quando le difficoltà manifestate sono riferite alla separazione, la terapia di coppia aiuta ad affrontarla in modo meno traumatico.

La PSICOTERAPIA FAMILIARE è l'intervento di elezione quando il disagio, che può riguardare in maniera diretta anche un solo componente del nucleo, adulto, bambino o adolescente si ripercuote sulla famiglia mettendone in crisi l'equilibrio.

Le difficoltà specifiche si possono esprimere attraverso canali diversi: sintomi psichici, comportamentali, somatici di un componente, disagio familiare o/e elevata conflittualità e segnalano problematiche all'interno del nucleo che necessitano di essere affrontate tempestivamente e risolte in modo adeguato.
Di fronte alla necessità della famiglia di superare il disagio che sta sperimentando, la fase di impasse in cui si trova e ritrovare benessere personale e familiare, la terapia familiare sistemico-relazionale è il trattamento d'elezione per apportare un cambiamento nella situazione in atto.
Spesso la famiglia in situazioni di difficoltà tende ad agire, in modo inconsapevole, dinamiche relazionali, comportamenti ripetitivi e tentate soluzioni che sostengono e alimentano il disagio anziché risolverlo.
Nella terapia familiare, il problema che la famiglia porta in terapia viene contestualizzato e compreso nel suo significato alla luce di più livelli di osservazione: quello delle relazioni che in essa intercorrono, della sua storia evolutiva, della fase del ciclo vitale che sta attraversando, delle storie personali dei suoi componenti e delle famiglie d'origine.
Il percorso di terapia familiare è volto ad eliminare le difficoltà, intervenendo sulle dinamiche interattive disfunzionali in atto e facendo leva sulle risorse e potenzialità latenti della famiglia per condurla alla soluzione delle problematiche e ad un nuovo equilibrio che possa consentire il benessere personale dei suoi membri e quello dell'intera famiglia.

GRAVIDANZA


Aspetti psicologici della gravidanza


Al momento dell’accertamento della gravidanza molteplici sono i sentimenti e le  emozioni sperimentate dalla donna. Alla gioia si accostano timori, incertezze, senso di realizzazione della propria vita, paura di non farcela, timore di non possedere “l’istinto materno”. I segnali del corpo confermano il cambiamento dallo stato psicologico di figlia, che inevitabilmente in questo momento si riattiva, sul piano delle emozioni, dell’esperienza con la propria madre. Ed è proprio il riconoscimento e il recupero di questa esperienza a consentire il reperimento dentro di se della capacità di essere oggi capace di dare cura.
Come ritenuto da molto autori, si può pensare alla gravidanza come un’ulteriore “fisiologica crisi” nel percorso di crescita e maturazione (Randaccio, De Paolo; 2004).  Una crisi necessaria per l’abbondono di fasi precedenti e all’acquisizione di un nuovo stato nella vita.
Sono però, in rapporto alle differenze individuali, le modalità di “entrata, superamento ed uscita dalla crisi” a determinare la possibilità di costruzione di quello che Stern ha descritto “assetto materno”.
I cambiamenti corporei sono correlati necessari al cambiamento psicologico, con il quale si integrano.
Per questo gli sviluppi nello studio della salute mentale hanno portato ad occuparsi dei disturbi psicopatologici che possono insorgere nella donna dal momento del concepimento fino al primo anno dal parto. In disaccordo con le prime teorie sulla gravidanza come un periodo di relativo benessere e quasi “immunità” dai disturbi psichici, attualmente risulta sempre più rilevante in letteratura la testimonianza di patologia psichiatrica in tale periodo (Giardineli, Cecchelli, Innocenti; 2008).
La gravidanza, per i profondi cambiamenti biologici, psicologici e sociali che comporta, può rappresentare un importante fattore di stress ed essere considerata sia agente eziologico per l’insorgenza di disturbi psichici in soggetti vulnerabili, che elemento favorente scompensi psicopatologico in donne già affette patologia psichiatrica.
I quadri clinici che più frequentemente si riscontrano in questo periodo sono i disturbi d’ansia e i disturbi dell’umore.
Il disturbo d’ansia, caratterizzato da preoccupazione eccessiva ed incontrollabile accompagnata da sintomi quali astenia, scarsa concentrazione, irrequietezza e disturbi del sonno, può preesistere alla gravidanza o insorgere in tale periodo, ma si pone il problema della diagnosi differenziale con il più comune vissuto di apprensione/preoccupazione della donna che aspetta un figlio. Generalmente tali preoccupazioni non interferiscono con il funzionamento normale della donna, a volte possono raggiungere una intensità pari al disturbo d’ansia. In questo caso è più appropriata comunque la diagnosi di disturbo dell’adattamento con ansia, dato che è identificabile un evento scatenante (la gravidanza) e la durata è inferiore solitamente ai sei mesi.
Secondo gli autori è importante non sottovalutare tali preoccupazioni della donna nel periodo perinatale in quanto è stato rilevato come coloro che hanno manifestato un disturbo d’ansia in gravidanza, abbiano una probabilità tre volte superiore di sviluppare un disturbo depressivo nel postpartum.
Il DOC disturbo ossessivo-compulsivo, durante la gravidanza ha una frequenza di poco inferiore ai dati sulla popolazione generale, mentre nel periodo postpartum è addirittura superiore. Il DOC ad esordio perinatale presenta delle caratteristiche sintomatologiche specifiche. Tutti gli autori concordano nel rilevare la presenza costante di ossessioni aggressive, soprattutto di far male al bambino, di pensieri intrusivi. Tale attitudine del pensiero, se associata ad una vulnerabilità genetica, neurologica in una donna in gravidanza e/o postpartum, può far esordire una patologia conclamata di tipo ossessivo compulsivo. 

Centro di Psicoterapia Familiare

domenica 28 aprile 2013

ESSERE DONNA

La sindrome premestruale:
un disagio femminile spesso sottovalutato



Con il termine Sindrome Premestruale (SPM), ci si  riferisce all’insieme di sintomi fisici e psichici che si manifestano nei giorni del ciclo precedenti la mestruazione.
La caratteristica comune dei suddetti quadri clinici è che l’insieme dei sintomi fisici e psichici si manifesta dopo l’ovulazione e scompare con l’inizio della mestruazione, per poi ripresentarsi nella stessa fase del ciclo del mese successivo e così via.
I sintomi fisici riscontrati più di frequente sono: tensione mammaria (con o senza mastodinia), aumento ponderale, iperfagia (spesso con craving per i carboidrati), diarrea, stitichezza, vertigini, cefalea, ritenzione idrica, dolori alla schiena e all’addome.
I sintomi psichici possono essere rappresentati da: labilità affettiva, irritabilità, irrequietezza, deflessione del tono dell’umore, ansia, tensione, disturbi del sonno, difficoltà di concentrazione, astenia.Tali sintomi non devono essere tutti presenti contemporaneamente.
Riguardo alle cause della SPM sono state formulate diverse ipotesi, ma a tutt’oggi non è stato identificato un unico fattore etiologico sufficiente a spiegare la genesi di tale patologia. Sono stati chiamati in causa fattori biologici, ambientali e socio-psicologici. Tra i primi, si è ipotizzato che potesse verificarsi una carenza di progesterone con aumento degli estrogeni, un aumento della prolattina o dei livelli di aldosterone. I fattori socio-psicologici che favoriscono lo sviluppo della SPM potrebbero essere riconducibili a un vissuto nevrotico di tipo conflittuale della femminilità e della sessualità, determinato di frequente dall’atteggiamento culturale e religioso della famiglia e del contesto sociale di riferimento, nei confronti di queste tematiche.

 Centro di Psicoterapia Familiare

ATTACCHI DI PANICO


Ho paura da morire




Chi ha provato gli attacchi di panico li descrive come un’esperienza terribile, spesso improvvisa ed inaspettata, almeno la prima volta. E’ ovvio che la paura di un nuovo attacco diventa immediatamente forte e dominante.
Il singolo episodio, quindi, sfocia facilmente in un vero e proprio disturbo di panico, più per "paura della paura" che altro. La persona si trova rapidamente invischiata in un tremendo circolo vizioso che spesso si porta dietro la cosiddetta "agorafobia", ovvero l’ansia relativa all’essere in luoghi o situazioni dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile un aiuto, nel caso di un attacco di panico inaspettato.
Diventa così pressoché impossibile uscire di casa da soli, viaggiare in treno, autobus o guidare l’auto, stare in mezzo alla folla o in coda, e cosi via.
L’evitamento di tutte le situazioni potenzialmente ansiogene diviene la modalità prevalente ed il paziente diviene schiavo dei suoi attacchi di panico, costringendo spesso tutti i familiari ad adattarsi di conseguenza, a non lasciarlo mai solo e ad accompagnarlo ovunque, con l’inevitabile senso di frustrazione che deriva dal fatto di essere "grande e grosso" ma dipendente dagli altri, che può condurre ad una depressione secondaria. 
La caratteristica essenziale del Disturbo di Panico è la presenza diattacchi di panico ricorrenti, inaspettati, seguiti da almeno 1 mese di preoccupazione persistente di avere un altro attacco di panico.
La persona si preoccupa delle possibili implicazioni o conseguenze degli attacchi di panico e cambia il proprio comportamento in conseguenza degli attacchi, principalmente evitando le situazioni in cui teme che essi possano verificarsi.
Il primo attacco di panico è generalmente inaspettato, cioè si manifesta "a ciel sereno", per cui il soggetto si spaventa enormemente e, spesso, ricorre al pronto soccorso; poi pssono diventare più prevedibili.
Per la diagnosi sono richiesti almeno due attacchi di panicoinaspettati, ma la maggior parte degli individui ne hanno molti di più.
Gli individui con Disturbo di Panico mostrano caratteristiche preoccupazioni o interpretazioni sulle implicazioni o le conseguenze degli attacchi di panico. La preoccupazione per il prossimo attacco o per le sue implicazioni sono spesso associate con lo sviluppo di condotte di evitamento che possono determinare una vera e propriaAgorafobia, nel qual caso viene diagnosticato il Disturbo di Panico con Agorafobia
Di solito gli attacchi di panico sono più frequenti in periodi stressanti. Alcuni eventi di vita possono infatti fungere da fattori precipitanti, anche se non indicono necessariamente un attacco di panico. Tra gli eventi di vita precipitanti riferiti più comunemente troviamo la separazione, la perdita o la malattia di una persona significativa, l’essere vittima di una qualche forma di violenza, problemi finanziari e lavorativi.
I primi attacchi si verificano di solito in situazioni agorafobiche (come guidare da soli o viaggiare su un autobus in città) e comunque spesso in qualche contesto stressante.
Gli eventi stressanti, le situazioni agorafobiche, il caldo e le condizioni climatiche umide, le droghe psicoattive possono infatti far insorgere sensazioni corporee che possono essere interpretate in maniera catastrofica, aumentando il rischio di sviluppare attacchi di panico e disturbi di panico.
I SINTOMI
L’attacco di panico ha un inizio improvviso, raggiunge rapidamente l’apice (di solito entro 10 minuti o meno) e dura circa 20 minuti (ma a volte molto meno o di più).
I sintomi che possono caratterizzare l’attacco di panicosono:
Palpitazioni/tachicardia (battiti irregolari, pesanti, agitazione nel petto, sentirsi il battito in gola)
Paura di perdere il controllo o di impazzire (ad esempio, la paura di fare qualcosa di imbarazzante in pubblico o la paura di scappare quando colpisce il panico o di perdere la calma)
Sensazioni di sbandamento, instabilità (capogiri e vertigini)
Tremori fini o a grandi scosse
Sudorazione
Sensazione di soffocamento
Dolore o fastidio al petto
Sensazioni di derealizzazione (percezione del mondo esterno come strano e irreale, sensazioni di stordimento e distacco) e depersonalizzazione (alterata percezione di sé caratterizzata da sensazione di distacco o estraneità dai propri processi di pensiero o dal corpo)
Brividi
Vampate di calore
Parestesie (sensazioni di intorpidimento o formicolio)
Nausea o disturbi addominali
Sensazione di soffocamento
Sensazione di asfissia (stretta o nodo alla gola)
La frequenza e la gravità degli attacchi di panico varia ampiamente nel corso del tempo e delle circostanze. Ad esempio, alcuni individui presentano attacchi moderatamente frequenti (per es., una volta a settimana), che si manifestano regolarmente per mesi. Altri riferiscono brevi serie di attacchi più frequenti (per es., quotidianamente per una settimana), intervallate da settimane o mesi senza attacchi o con attacchi meno frequenti (per es., due ogni mese) per molti anni. 
Vi sono anche i cosiddetti attacchi paucisintomatici, molto comuni negli individui con Disturbo di Panico, che sono degli attacchi in cui si manifestano soltanto una parte dei sintomi del panico, senza esplodere in un vero attacco. La maggior parte degli individui con attacchi paucisintomatici, tuttavia, hanno avuto attacchi di panico completi in qualche momento nel corso del disturbo.
Durante un attacco di panico, pensieri catastrofici automatici e incontrollati riempiono la mente della persona, che ha quindi difficoltà a pensare chiaramente e teme che tali sintomi siano veramente pericolosi. Alcuni temono che gli attacchi indichino la presenza di una malattia non diagnosticata, pericolosa per la vita (per es., cardiopatia, epilessia). Nonostante i ripetuti esami medici e la rassicurazione, possono rimanere impauriti e convinti di essere fisicamente vulnerabili. Altri temono che gli attacchi di panico indichino che stanno "impazzendo" o perdendo il controllo, o che sono emotivamente deboli e instabili.

 Centro di Psicoterapia Familiare

Fonte: ipsico.org

SESSUALITA'


DESIDERIO RICERCATO


Il desiderio sessuale individuale o di coppia appare nelle domande sessuologiche immerso in una dimensione sociale che ha subito nell'ultimo decennio una evoluzione paradossale.
In passato, si riteneva che l'uomo giovane e virile fosse il portatore del desiderio più forte e dell'erotismo più naturale, mentre donne, bambini e anziani erano confinati nel limbo di altri desideri (dolcezza e saggezza).
Oggigiorno sono proprio gli uomini fra i 30 e i 40 anni che presentano più sovente disturbi del desiderio, la sessualità ha cambiato volto, da fatto privato e confinato nella camera da letto è diventato un fenomeno pubblico, un prodotto di consumo, un territorio di prestazione e di confronti, un supporto alle forme più svariate della pubblicità.
L'uomo che trovava nella conquista il motore del suo desiderio si scopre oggi sovente conquistato, e soprattutto, obbligato a riuscire.
Emerge frequente la paura dell'uomo di fare brutta figura, in particolare il timore che gli amici lo vengano a sapere. La paura di essere “ tradito ” si è trasformata in una paura di non essere all'altezza. In questa ottica fare l'amore con piacere è diventato un nuovo dovere sociale.
Se vissuta in questi termini la sessualità, si allontana da ciò che significa desiderare qualcosa, desiderare una persona, creare quei movimenti interni che spesso ci portano ad andare verso “l'oggetto” desiderato.
All'inizio di una storia, il livello di desiderio tra due persone è, e dovrebbe essere altissimo.
Nel campo della sessuologia, “Il desiderio” consiste in fantasie sull'attività sessuale e nel desiderio di praticarle. E' proprio questo desiderio di pratica e la conseguente soddisfazione che alimenta il desiderio in quanto l'insoddisfazione di tale progetto determinerà un'inibizione dello stesso ed una maggiore prudenza in una successiva situazione.
In un rapporto di coppia il desiderio per esistere e mantenersi deve potersi fondare su un'attenzione calda e piacevole della relazione tanto da permettere una libera espressione del proprio desiderio volto così alla ricerca del piacere.
Desiderare di far l'amore con una persona è qualcosa che spesso và al di là della semplice sessualità. Ma nel medio o lungo periodo qualcosa può cambiare. E tutto non è più come prima.
“Desidero” ancora questa persona o “Non la desidero più”?
Ci si comincia a fare queste domande e spesso le questioni caratteriali prendono il sopravvento. Non desiderò più questa persona perché realmente non ne sono più attratto o perché questa persona contraddicendomi non mi fa sentire più amato/a? la fiamma iniziale comincia piano piano a spegnersi e il desiderio lascia il posto all'ego.
La disponibilità gioiosa verso l'esperienza sessuale diminuisce.
Le cause intrapsichiche sono spesso la ragione della diminuzione del desiderio sessuale.
Le paure infantili, le inibizioni derivanti dalla religione ed i blocchi emotivi possono condizionare la sessualità e l'intimità, quando ciò accade i risultati sono drammatici.
Nel momento in cui si parla di un calo del desiderio la causa si può rifare anche a fattori interrelazionali. In una coppia esiste un “IO” ed un “Tu” e spesso queste due identità si fondono non lasciando spazio ad una propria individualità, l'altro perde una sua identità che si fonde con la mia.
Shnarch sottolinea che i disturbi del desiderio sessuale siano indicativi di una mancanza o di una perdita di differenziazione nella relazione.
Ciò significa che ambedue i partner stanno perdendo la loro capacità di attuare uno sviluppo personale rischiando di perdersi nell'altro, sottolinea come la differenziazione permette la relazione senza dipendenza dall'altro e promuove la capacità di vivere pienamente l'intimità, l'erotismo, la passione e l'accudimento.
Se ci accorgiamo che il nostro desiderio nei confronti del partner stà diminuendo, non lasciamo cadere la cosa ma domandiamoci perché, che cosa posso fare, che cosa è cambiato rispetto a prima.
Mantenere vivo il desiderio sessuale significa “Coltivare la coppia”, “Coltivare se stessi” permettendo ad ognuno di noi di sentirsi rispettati.

Bibliografia
SHNARCH D. - Disturbo del desiderio: una prospettiva sistemica in
Principi e tecniche di terapia sessuale di S. R. Leiblum; R.C. Rosen.
The Guilford Press . N.Y., 2000
HELEN SINGER KAPLAN. – Il disturbo del desiderio sessuale; Oscar Mondatori 1992 

Centro di Psicoterapia Familiare
Fonte: Opsonline

lunedì 22 aprile 2013

UNIVERSITA' DELLA LIBERA ETA'


L'UNIVERSITA' DELLA LIBERA ETA' 



alla sua XIX Edizione invita

l 14 Maggio 2013 presso il Palazzo MUMI - MUSEO MICHETTI 

Piazza San Domenico, 1 Francavilla al Mare (CH)


In collaborazione con l’Associazione MOTUS di Francavilla al Mare (CH)



 all’incontro condotto dalla Dott.ssa Ivana Siena sul 

“CICLO VITALE DELLA FAMIGLIA”









LA SISTEMICA E IL FUTURO





Relatori:
  • Eileen Bobrow MFTMental Research Institute
  • Mary Brewster Ph.D.Ackerman Institute
  • Dott. Marco BianciardiCentro Milanese di Terapia della Famiglia, sede di Torino, Direttore di “Episteme”.
  • Dott. Umberta Telfener (Centro Milanese di Terapia della Famiglia, Università La Sapienza – Roma)
  • Dott. Massimo Giuliani (CMTF, Milano) 

























domenica 14 aprile 2013

SEMINARIO GRATUITO


SEMINARIO GRATUITO - L'APPROCCIO SISTEMICO NELLA PSICOLOGIA DELLA FAMIGLIA


 La famiglia è un sistema vivente, un’organizzazione di persone in continua crescita e cambiamento, impegnate reciprocamente a portare a termine i diversi compiti di sviluppo nel corso della vita. È proprio l’assunzione di precise responsabilità e compiti di sviluppo che consente alla famiglia di far fronte alla riorganizzazione dei ruoli di ogni membro al suo interno.
A partire dalla fase iniziale in cui due persone si scelgono e decidono poi di dare vita ad una coppia stabile, continuando attraverso le varie tappe evolutive, la famiglia deve far fronte a  particolari eventi che riguardano principalmente l'ingresso, l'aggiunta di un nuovo membro (ad esempio la nascita di un figlio) e l'uscita o la perdita di un suo componente (come l'uscita di casa dei figli per una vita propria o il decesso di un suo componente).
Inoltre, eventi cosiddetti paranormativi (incidenti, malattie ecc.), minacciano l’equilibrio familiare proprio perché caratterizzati da drammaticità ed imprevedibilità.
Sono momenti critici di vita che necessitano la messa in campo delle risorse che la famiglia ha a disposizione per raggiungere un nuovo soddisfacente equilibrio che le permetta di passare alla fase evolutiva successiva del ciclo vitale.
L’obiettivo del seminario è quello di fornire conoscenze sulle fasi del ciclo vitale della famiglia con particolare attenzione ai momenti critici di cui sono composte e alle possibili risorse familiari da attivare.





DESTINATARI


Il seminario è aperto agli operatori del settore e agli studenti (Insegnanti, pedagogisti, educatori, medici, psicologi, mediatori familiari, assistenti sociali) e a chiunque fosse interessato all'acquisizione di competenze relative al tema proposto.




CONDUTTRICE
Dott.ssa Siena Ivana, Psicologa, Psicoterapeuta ad orientamento Sistemico – Relazionale, Direttrice del Centro di Psicoterapia Familiare di Pescara, Coordinatrice dell’Associazione Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara.






DOVE E QUANDO
L'incontro si svolgerà a Pescara presso la sede di Igea, Via Pisa 6, il 24 MAGGIO dalle 18.00 alle 19.30.




ISCRIZIONI E COSTI
La partecipazione al seminario è gratuita e riservata ai soli soci.
Per partecipare è necessario associarsi a Igea (per chi non fosse già socio): la tessera associativa della validità di 12 mesi - in alcun modo vincolante per gli anni successivi - prevede il versamento della quota associativa di 10 euro.

E' necessaria la prenotazione entro e non oltre il 13 maggio.

Verrà rilasciato attestato di partecipazione.

PER PRENOTAZIONI: IGEACPS

PSICOLOGIA DELLO SPORT




“Le aspettative degli adulti verso i giovani giocatori o atleti” è un tema importante che pone l’accento su ciò che si cela dietro la scelta, più o meno deliberata, di intraprendere questo tipo di carriera sportiva. Complici i sogni irrealizzati e le aspettative sempre più alte dei genitori, i bambini di oggi sono, già dalle scuole elementari  impegnati in una media di tre attività extrascolastiche di cui almeno una ha a che fare con il mondo dello sport.
I maschietti dai cinque ai dodici anni devono essere bravi a scuola, devono suonare la chitarra o il pianoforte, parlare le lingue e  giocare bene a calcio, spesso a prescindere dal reale talento espresso. Nasce così un vero e proprio business di scuole calcio, alimentato dal fanatismo dei genitori, basti pensare che quelle riconosciute dalla Federazione sono circa settemila ed alcune di loro rappresentano un vivaio per squadre ufficiali. Questa frenetica corsa al successo personale è mossa dallo stereotipo della vita del calciatore, soldi, popolarità e potere in certi casi, che comunemente viene intesa come il raggiungimento dell’autorealizzazione, apice della scala di bisogni di ogni essere umano.
Dietro questo modello ideale di vita si nasconde però un limite che è rappresentato dall’impossibilità concreta di proseguire un corretto percorso di studi che permetta al ragazzo, calcisticamente talentuoso, di sperimentarsi in altre abilità per cui è portato. È da tener presente che la carriera calcistica è relativamente breve, pertanto un calciatore di trentacinque anni, non necessariamente di serie A, si ritrova a reinventare la sua vita post carriera, investendo i soldi guadagnati in attività che rilascino comunque un profitto, ma che non sempre portano ad una reale soddisfazione personale, incorrendo così in rischi patologici gravi.
È d’obbligo una distinzione tra i calciatori italiani e quelli di altri paesi del mondo che hanno un sistema educativo diverso. È risaputo infatti che determinati calciatori stranieri, provenienti da paesi più poveri dell’Italia, imparano a giocare a calcio per strada, luogo d’elezione per riempire il tempo laddove non è concesso loro il privilegio di accedere ad una istruzione adeguata alla loro età. Senza contare che spesso il calcio diventa, in questi casi, una valida alternativa a deviazioni verso strade delinquenziali ed autodistruttive.
In questi paesi non esiste il concetto di Intelligenze Multiple (come definito da Gardner) ad esempio, dove per intelligenza è inteso il potenziale biologico che può essere più o meno sviluppato, a seconda delle opportunità disponibili e delle decisioni personali prese dagli individui di una cultura specifica. Così come definite dall’autore, le Intelligenze Multiple sono otto: linguistica, logico-matematica, musicale, spaziale, corporeo-cinestesica, interpersonale, intrapersonale e naturalista, tutti ambiti che vengono riconosciuti e potenziati attraverso l’istruzione scolastica. Quella corporeo-cinestesica, lo dice la parola stessa, ha a che fare con le abilità motorie ed è pertanto quella maggiormente potenziata dai calciatori e dagli atleti in generale. Le altre intelligenze restano nel patrimonio genetico più o meno sviluppate.
Ove un adolescente capace decida di proseguire nella carriera da calciatore, potrebbe trovarsi a riporre in un angolo le altre abilità possedute e ad incentrare ogni energia a livello corporeo, tralasciando la possibilità di professioni alternative. Da ciò nasce il pregiudizio secondo cui i calciatori sono ignoranti, ingrati, sbruffoni; molti di loro confermano le loro carenze linguistiche durante le interviste post partita. Un pregiudizio negativo, seppur fondato, va a travolgere tutta una categoria, lasciando invisibili i personaggi che rappresentano l’eccezione alla regola. Un esempio è rappresentato da Guglielmo Stendardo, 31 anni, calciatore oggi dell’Atalanta, con un passato nella Lazio e prima ancora nella Juventus. Proprio lui, come altri, ha scelto di impegnarsi negli studi universitari in Giurisprudenza, e pochi mesi fa ha sollevato polemiche con la sua richiesta di partecipare all’esame di abilitazione, penalizzando la sua presenza in un incontro di Coppa Italia contro la Roma. L’allenatore Colantuono lo ha punito, lasciando trapelare una conferma al pensiero secondo cui “un professionista strapagato non ha l’impellenza di svolgere un’altra professione”.  
Oggi esiste un progetto ideato dall’Associazione Italiana Calciatori, “Ancora in carriera”, già alla seconda edizione, con l’obiettivo di sviluppare le competenze professionali dei calciatori a fine carriera per consentire loro un pieno inserimento nel mondo del lavoro dentro e fuori dallo sport.
Spesso il nutrire pregiudizi relativamente a determinate categorie di persone porta a modificare il proprio comportamento sulla base delle credenze socialmente condivise, con la conseguenza di creare condizioni tali per cui si va a confermare tale pensiero, ad esempio scegliendo di sacrificare gli studi in nome della carriera (una profezia auto avverante).  Chissà cosa ne penserebbe Pietro Mennea, con le sue quattro lauree, le sue docenze universitarie, i suoi venti libri scritti e il suo record mondiale imbattuto per ben diciassette anni! 
Dott.ssa Ivana Siena

PSICOLOGIA DELLO SPORT





“Quella tra l’allenatore e la sua squadra è una vera e propria relazione amorosa". È una storia d’amore d’altri tempi in cui la donna (squadra) veniva allevata, cresciuta ed educata da genitori severi ed esigenti (Società Calcistica) che hanno trasfuso in lei morale, dedizione e senso del dovere nei confronti di un progetto di vita essenziale: la prosecuzione della  famiglia in nome del rispetto e della dignità del casato. Come nei tempi antichi  la donna doveva occuparsi della casa e dei figli, da sempre nello sport e nel calcio, la squadra è la gestante che mette alla luce, di volta in volta, piccoli e grandi traguardi intesi come investimenti per il futuro. Alte quindi erano all’epoca le aspettative dei suoi genitori e ardua risultava essere la scelta del consorte adeguato a portare avanti questo progetto di vita comune.
La scelta dell’uomo perfetto per questo connubio era influenzata dalle decisioni del padre della sposa, che prediligeva il prestigio e l’onore di cui quest’uomo godeva, da tramandare poi alla prole. Tale scelta verteva quindi su un uomo più anziano, scevro dagli ardori giovanili, ma con competenze provate a livello fisico e mentale. I due partner si incontravano poco prima del matrimonio, suggellavano il loro patto attraverso uno scambio di doni e fedeltà reciproca trovandosi a gestire la loro unione pur avendo una conoscenza poco approfondita l’uno dell’altra, impegnati a far aumentare le loro affinità e a superare le loro divergenze che si potevano ripercuotere sulla nascita dei figli (performance).
La donna è sempre stata la portatrice della dote familiare, che nel paragone calcistico è rappresentata dall’insieme dei talenti che si esprimono nella squadra. La dote era messa a totale disposizione del consorte che se ne doveva prendere cura,  nel tentativo di potenziarla ed arricchirla. Seppur trattandosi di un matrimonio combinato non era escluso che il sentimento autentico dell’amore potesse nascere e consolidarsi nella procreazione di numerosi figli a cui affidare la decorosa sopravvivenza della stirpe.
L’allenatore e la sua squadra diventano tutt’uno nel loro matrimonio calcistico, ma come accade nella vita quotidiana, l’amore per poter divenire “eterno” non può rimanere solo un sentimento provato, bensì deve divenire un “atto di volontà”, una decisione consapevole di voler unire la propria vita a quella di un altro. Necessita di impegno, passione e intimità, tre componenti che vengono costantemente minacciate dalle difficoltà che si incontrano sul cammino. Gli insuccessi, la supervisione costante dei “genitori della sposa”, gli attacchi psicologici dei familiari stretti (la stampa) nonché il giudizio e la disapprovazione della gente esterna ma comunque influente (la tifoseria), mettono a gran rischio la stabilità di questa relazione. Un allenatore, in quanto marito, porta con sé la grande responsabilità di gestire la sua famiglia, di prendere le decisioni più adatte alla sopravvivenza di questo nucleo, di proteggerlo dai pericoli esterni e, non meno importante, di provvedere al sostentamento e alla realizzazione dei suoi figli. Quando tutto questo sistema di compiti evolutivi non funziona come dovrebbe e calano i livelli di passione, intimità ed impegno reciproco,  si può andare incontro ad uno scioglimento del patto matrimoniale.
L’allenatore può abbandonare il tetto coniugale dimettendosi dopo una serie di fallimenti di cui si attribuisce la responsabilità, può “tradire” rincorrendo un vecchio amore che fino a quel momento non ha avuto l’opportunità di coltivare, o può essere esonerato dal “padre della sposa” per inadempienza dei suoi doveri coniugali.
Sempre la Società Calcistica si occupa in sua assenza di provvedere a riempirne il vuoto, nella speranza di ricreare una nuova coppia soddisfacente e più funzionale.  Tuttavia un amore, seppur nato da basi di convenienza, spesso si trasforma nella conferma di quella prima scelta e, nonostante la crisi che attraversa, lascia dei profondi segni della sua importanza. Un ritorno a casa del primo marito, per quanto possa sembrare un errore, può in determinati casi rappresentare un nuovo inizio, soprattutto laddove l’intensità di quel sentimento provato viene testimoniata anche da chi sta intorno alla coppia, oppure quando i figli, frutto di quell’amore, hanno sì continuato a crescere, ma senza crearsi una vera identità che necessita dalla presenza di entrambi i genitori che li hanno messi al mondo. Guardare alla crisi come un’opportunità per rivedere se stessi, il proprio contesto di appartenenza e per migliorarsi è una risorsa fondamentale per l’evoluzione di ogni sistema, anche quello calcistico. Con questa visuale è possibile pensare agli errori commessi come insegnamenti, al perdono come strumento per riavviare il nastro inceppato e al “ritorno” come possibile punto di partenza”.
Dott.ssa Ivana Siena

giovedì 11 aprile 2013

PSICOLOGIA DELL'EMERGENZA


Dentro e fuori dalla catastrofe


La Psicologia dell'Emergenza è un settore della Psicologia nato in Italia nell'ottobre del 1997, quando il Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi attiva - nello stesso anno - l'intera comunità degli Psicologi italiani a seguito del terremoto Umbria-Marche.
Nata dalla Psichiatria d'Urgenza, dalla Psicologia Militare e dal Disaster Mental Health, la Psicologia dell'Emergenza si è progressivamente sviluppata fino a diventare una vera e propria disciplina con caratteristiche proprie.
Essa si occupa degli interventi clinici e sociali in situazioni di calamità.
Si rivolge a popolazioni e a singoli individui che hanno dovuto subire un evento traumatico originato da cause naturali (terremoti...) e/o dall'uomo (guerre...).

La finalità che consegue tale branca è il recupero della normalità delle popolazioni colpite o esposte all'evento traumatico, per aiutarle a riacquistare la capacità di gestire le proprie difficoltà, anche facendo ricorso a servizi psicologici predisposti.
Tra gli ambiti di lavoro dello Psicologo vi è quindi anche quello delle Emergenze, ne diviene operatore - con ruoli e mansioni proprie - a fianco e/o come supporto delle Forze dell'Ordine, della Protezione Civile, degli Operatori del pronto soccorso, dei Volontari...
Tutti gli Operatori - Psicologo compreso - quando vengono chiamati a prestare aiuto devono mettere in atto azioni al fine di migliorare una situazione difficile o alleggerire il peso di un dramma.

Pensiamo al terremoto dell'Abruzzo.
Subito dopo l'evento c'è stato bisogno di allestire un campo base, la segreteria, la mensa... e di rispondere alle continue domande che venivano poste in relazione a:
·                 quando sarebbero arrivate le nuove case,
·                 quale sarebbe stato il funzionamento della vita di campo,
·                 a chi rivolgersi in caso di bisogno,
·                 se potevano esserci persone ancora incastrate nelle proprie abitazioni...
Ci sono anche situazioni difficili in cui i superstiti chiedono dove siano finiti i familiari che, magari, durante una scossa erano in casa.
Immaginiamo oppure un incidente stradale che ha causato la morte di un ragazzo.
Come dirlo ai familiari? Come provocare il meno possibile dolore? Che parole utilizzare?

È qui che la figura dello Psicologo diviene indispensabile, poiché si occupa direttamente sia delle persone colpite sia degli altri Operatori che spesso non hanno la formazione adeguata per far fronte a situazioni difficili da gestire e - pur essendo estremamente competenti nello specifico del loro lavoro - possono avere difficoltà in tutti quei casi in cui è necessario saper comunicare bene e relazionarsi con molta delicatezza.
Allo stesso modo possono essere aiutati dallo Psicologo a gestire la propria emotività e lo stress che situazioni del genere inevitabilmente comportano.
Riassumendo, lo Psicologo opera:
·                 Prima - pianificazione degli interventi, gestione e sviluppo della formazione del personale di soccorso.
·                 Durante - organizzazione della rotazione del personale, supporto alle vittime.
·                 Dopo l'emergenza - supporto psicologico.
Si pone l'obiettivo di salvaguardare e, in alcuni casi, ripristinare l'equilibrio psichico delle vittime e dei soccorritori che abbiano vissuto eventi traumatici, di riorganizzare il tessuto sociale e facilitare il recupero della sicurezza collettiva.
Il raggiungimento di tali scopi avviene attraverso lo studio, la prevenzione e il trattamento dei fenomeni psichici e sociali determinati da un evento traumatico in soggetti o nella comunità.
La formazione del personale di soccorso
Rispetto alle aree in cui opera lo Psicologo, in questo articolo tratteremo la formazione degli operatori dell'Emergenza, di cui ho avuto esperienza diretta.
Lo Psicologo può formare operatori che lavorano in ambiti diversi.
Pensate ad esempio a chi interviene in un terremoto o a chi presta servizio nel soccorso stradale e deve poi comunicare il decesso delle persone coinvolte ai familiari, o ancora a chi deve placare risse, crisi, pianti...

In ognuna delle situazioni citate l'operatore deve possedere doti comunicative di un certo tipo, deve anche saper contenere e gestire situazioni complesse e delicate.
La formazione quindi è importante per tutte quelle figure professionali che si trovano a gestire situazioni particolari. A tal proposito la formazione degli operatori dell'emergenza risulta di fondamentale importanza.
Come dicevamo nel paragrafo precedente, essi sono competenti nelle abilità che riguardano la loro professionalità (pensiamo agli operatori che devono allestire un campo base dopo un evento calamitoso, il dover sistemare tende, etc.), ma a volte hanno difficoltà nel rapportarsi con le persone vittime di un evento calamitoso, come per esempio un terremoto.
A mio parere, una metodologia che risulta essere efficace è quella che prevede la mescolanza di teoria e pratica durante gli incontri di gruppo. Non lezioni accademiche a un pubblico silenzioso e attento, ma lezioni che prevedano un coinvolgimento da parte dei partecipanti.
Questa metodologia, infatti, permette di offrire uno spazio volto alla discussione e all'elaborazione, promuovendo uno scambio di esperienze e una crescita professionale.
Ritengo utile inoltre, durante la formazione, porre uno sguardo particolare rivolto agliaspetti emotivi degli operatori, che sono quelli che spesso arrivano prima al cuore di chi è in una situazione particolare.

La formazione dovrebbe essere strutturata in due parti:
1.              la prima relativa alle nozioni teoriche del tema che si andrà ad affrontare nel corso,
2.            la seconda parte deve essere più pratica e aperta allo scambio attraverso role playing, esercitazioni, lavori di gruppo.
Durante la formazione anche l'attenzione a piccole cose è fondamentale, come la disposizione delle sedie dei partecipanti in forma circolare in modo tale da potersi guardare l'un l'altro.
Una volta fissate le regole principali, che lo Psicologo cercherà sempre di far rispettare - come "parlare uno alla volta" e "alzare la mano per prendere la parola" - in base all'argomento della formazione darà degli input, per esempio:
·                 "Emozioni provate prima della partenza"
·                 "Rapporti con la cittadinanza"
·                 "Comunicazione del decesso"...
Quando un operatore porta la sua esperienza o un comportamento non consono con la situazione vissuta, è molto importante non "puntare il dito" su di lui (e questo dovrebbe essere evitato anche da parte degli altri partecipanti). È bene invece cercare di chiarire quale sarebbe stata la pratica migliore fornendo una spiegazione, e sostenendo comunque la persona per l'azione compiuta.
Gli aspetti positivi dati da una modalità "aperta" - più simile a una discussione che a una lezione accademica - sono una maggior partecipazione, coinvolgimento, condivisione di esperienze e scambio di consigli da parte dei partecipanti stessi. Ne vedremo un esempio nel prossimo paragrafo.
Tra gli aspetti negativi possono esservi il farsi travolgere eccessivamente dalle emozioni da parte dei partecipanti, facilitazione della critica dell'operato degli altri, possibilità che l'uno tolga spazio di parola all'altro.

Centro di Psicoterapia Familiare
 Fonte: humantrainer.com

Per maggiori info: SIPEM MARCHE