sabato 29 giugno 2013

FOTOTERAPIA

La vita segreta degli scatti personali e delle foto di famiglia


Ogni foto che una persona scatta o conserva è anche un tipo di autoritratto, un tipo di "specchio con memoria" che riflette quei momenti e quelle persone che sono state così speciali da essere fissate per sempre nel tempo. Considerate collettivamente, queste foto rendono visibile il flusso delle storie della vita di quelle persone e servono come impronte visive che segnano dove loro sono state (emotivamente, come pure fisicamente) e forse segnalano dove probabilmente si dirigono. Perfino le reazioni delle persone verso cartoline, foto di riviste e le foto scattate da altri possono fornire chiavi rivelatrici della loro vita interiore e dei loro segreti.
Il vero significato di una foto qualsiasi si trova meno nei suoi aspetti visivi che nellʼevocazione che i dettagli suscitano nella mente (e nel cuore) di ogni osservatore. Mentre si guarda una foto, una persona in realtà crea spontaneamente il significato che ritiene provenire dalla foto stessa, e questo significato può essere diverso da quello che il fotografo intendeva trasmettere. Perciò, il significato (e il linguaggio emotivo) di una foto dipende piuttosto da chi lʼosserva, perché la percezione individuale e lʼesperienza di vita di ognuno incorniciano e definiscono quello che si "vede" come reale. Quindi, le reazioni verso una fotografia che una persona considera speciale possono in realtà rivelare molto su se stessa, se vengono fatte le domande adeguate.
Come lo psicoterapeuta usa le foto per aiutare a guarire le persone la maggior parte delle persone conserva le fotografie senza mai soffermarsi per chiedersi il perché. Ma, proprio perché le foto personali registrano per sempre momenti importanti del quotidiano (e le emozioni inconscie associate a questi momenti), possono servire come ponti naturali per accedere, esplorare e comunicare sentimenti e ricordi (inclusi quelli profondamente
sotterrati o da molto tempo dimenticati), insieme alle tematiche psicoterapeutiche che questi ricordi e sentimenti portano alla luce. Gli psicoterapeuti trovano che le foto dei loro pazienti funzionano
spesso come costruzioni simboliche e oggetti di metafora transazionali che offrono silenziosi "insight" del mondo interiore in una maniera che le parole da sole non potrebbero mai rappresentare o decodificare.
Sotto la guida di uno psicoterapeuta che conosca le tecniche di fototerapia, i pazienti esplorano i significati delle loro foto e i loro album di famiglia a livello emotivo oltre al loro significato visivo. Queste informazioni rimangono latenti in tutte le foto personali dei pazienti, ma quando queste foto vengono utilizzate per stimolare il dialogo terapeutico, si crea una connessione meno censurata con lʼinconscio.
Durante le sessioni di fototerapia le foto non vengono soltanto utilizzate per essere
contemplate in una riflessione silenziosa, ma al contrario vengono create attivamente -- si posa
per le foto, si parla alle foto, si ascoltano le foto -- vengono utilizzate per illustrare nuove narrative,
nuovi ruoli, per visualizzare di nuovo nella memoria o nellʼimmaginazione, e vengono integrate nelle espressioni di Arteterapia, o addirittura per creare dialoghi tra le foto stesse.
Quali sono le tecniche applicate nella Fototerapia?
Fare delle foto o portarle con sé nelle sessioni di psicoterapia è soltanto lʼinizio. Una volta che le foto vengono osservate, il passo seguente consiste nellʼattivare tutto quello che queste foto fanno venire in mente (esplorando i suoi messaggi visivi, iniziando a dialogarci, facendo delle domande, prendendo in considerazione i risultati di cambiamenti immaginari o di altri possibili punti di vista e così via). Quello che per i fotografi è normalmente il punto di arrivo (ossia la foto finita, stampata) non è che il punto di partenza per gli obiettivi della Fototerapia...
Il compito principale del terapeuta è quello di incoraggiare e di fornire sostegno al paziente nel percorso di scoperta personale mentre esplora e interagisce con le sue foto e le foto di famiglia che vengono osservate, scattate, raccolte (per esempio cartoline, foto di riviste, biglietti dʼauguri, e così via), ricordate, attivamente ricostruite o soltanto immaginate.
Perciò, ognuna delle cinque tecniche di Fototerapia viene abbinata ai seguenti cinque tipi di fotografie che poi vengono spesso utilizzate in varie combinazioni lʼuna con lʼaltra, come pure in associazione con tecniche di Arteterapia e altre terapie creative:
Foto scattate o create dal paziente (sia quelle in cui il paziente crea effettivamente lʼimmagine utilizzando una macchina fotografica, o semplicemente "appropriandosi" di immagini create da altri, raccogliendole da riviste, cartoline, internet, manipolazioni digitali e così via);
Foto scattate al paziente da altre persone (sia quelle per cui ha posato volutamente che quelle catturate spontaneamente a sua insaputa);
Autoritratti, ossia qualsiasi foto che i pazienti fanno a se stessi, sia letteralmente che metaforicamente (in ogni caso, queste sono foto in cui i pazienti esercitano un controllo totale su tutti gli aspetti della creazione dellʼimmagine);
Album di famiglia o altre collezioni di foto biografiche (sia quelle della famiglia biologica che quelle della famiglia di adozione; sia che le foto siano state raccolte formalmente in un album o semplicemente tenute sparse, appiccicate sul muro o sulla porta del frigorifero, dentro il portafoglio, incorniciate sulla scrivania, sullo schermo del monitor o nei siti web familiari, e così via);
...E infine,
"Foto-proiezioni", la tecnica utilizza il meccanismo (fenomenologico) secondo cui il significato di qualsiasi foto è in primo luogo creato dallʼosservatore durante il processo di percezione dellʼimmagine. Lʼatto di guardare qualsiasi immagine fotografica produce delle percezioni e reazioni che vengono proiettate dal mondo interiore della persona sulla realtà e che determina così il senso che viene dato a ciò che si vede. Perciò questa tecnica non si basa su un tipo specifico di foto ma piuttosto sullʼinterfaccia meno tangibile tra una foto e il suo osservatore o creatore, lo "spazio" in cui ogni persona forma le proprie originali risposte a ciò che vede.


Centro di Psicoterapia Familiare

IMPARIAMO DAI FILM


LE PAGINE DELLA NOSTRA VITA






IL PRIMO INCONTRO



AMICIZIA




INNAMORAMENTO




LA  FAMIGLIA D'ORIGINE 







SCEGLIERSI...





IMPEGNO, INTIMITA’, PASSIONE






LA TERZA ETA'







La scena iniziale è ambientata in una casa di riposo: un uomo, ormai anziano, legge le pagine di un diario ad un'anziana donna affetta dal morbo di Alzheimer. L'unica cosa che la donna non dimentica mai è un pezzo di Chopin, che suona sempre al pianoforte.
Allie è una ragazza che nutre una gran passione per la pittura e per la musica. In un giorno di inizio estate, a una festa, conosce Noah, un ragazzo della sua stessa età, un operaio che vive in campagna con suo padre.
L'amore tra i due giovani scatta immediatamente; dovranno, però, dirsi addio perché il rapporto non è ben visto dalla famiglia della ragazza. Noah scrive ogni giorno una lettera ad Allie, sperando che le possa leggere. Non ricevendo delle risposte, pensa di essere stato solo una cotta estiva. Allie, purtroppo, non è al corrente del contenuto delle numerose lettere, in quanto la madre, contraria alla storia d'amore dei due, le nasconde per anni.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale Noah parte come soldato ed Allie diventa infermiera e conosce un altro uomo, Lon, che si innamora di lei e le chiede di sposarlo. Una volta a casa, Noah decide di ristrutturare la casa in cui aveva vissuto dei momenti importanti con Allie, dedicandosi ai particolari che lei desiderava. Allie scopre tutto, le vengono riconsegnate le lettere dalla madre e decide di andare da Noah per chiarirsi una volta per tutte.
L'anziana donna in un momento di lucidità ricorda tutto: l'uomo anziano che le legge le pagine del diario è proprio Noah, suo marito, che le è rimasto vicino lungo tutto il percorso della malattia.

giovedì 27 giugno 2013

PERSUASIONE

"Tu farai quello che dico io"

La comunicazione con le parole è la caratteristica fondamentale che ci rende esseri umani e ci distingue dagli animali. Attraverso il linguaggio, verbale e non verbale, riusciamo non solo a far comprendere o comunicare i nostri stati d’animo, le nostre esigenze e necessità, ma possiamo anche modificare l’atteggiamento e il comportamento dei nostri interlocutori. Esiste infatti una capacità psicologica umana, chiamata persuasione, che aiuta alcune persone a convincerne altre rispetto agli argomenti più vari. La persuasione si distingue da altre tecniche di convincimento poiché prevede il solo utilizzo di parole e linguaggio del corpo. Essa, infatti, può risultare utile in diverse occasioni, non solo a lavoro: le persone che sanno sfruttare al meglio questa capacità sono quelle che la utilizzano per raggiungere i propri obiettivi e per rendere più comprensibile un determinato argomento. La persuasione, però, viene spesso utilizzata anche in maniera negativa, soprattutto nella comunicazione pubblicitaria e in quella politica. Per questo motivo è importante cercare di capire e conoscere le tecniche di persuasione per comprendere qual è l’effetto su di noi e quali fattori psicologici usa. Uno dei massimi esperti mondiali delle tecniche di persuasione è l’americano Robert Cialdini, psicologo e docente di Marketing presso l’Arizona State University. Dai suoi studi si è evidenziato come una richiesta può essere respinta o accettata, a seconda di come venga formulata, e che alla base dell’accettazione e delle numerose tattiche usate ogni giorno dai persuasori per ottenere un risultato positivo ci sono sei schemi fondamentali: le sei leve della persuasione. Si tratta di semplici strategie cognitive fondamentali, da utilizzare nella comunicazione interpersonale per modificare l’atteggiamento e soprattutto il comportamento dei propri interlocutori:
 1.   coerenza: essere o anche solo sembrare coerenti trasmette una sensazione di affidabilità e sicurezza che induce gli altri a fidarsi;
  2.   reciprocità: sentirsi obbligati a contraccambiare i favori;
  3.   riprova sociale: in ogni situazione di incertezza, ritenere valide le scelte compiute da un elevato numero di persone (fenomeno psicologico-sociale, questo,  alla base della diffusione delle mode);
  4.   autorità: le opinioni e le posizione espresse da una persona di rilievo sono ritenute valide;
 5.   simpatia: costruire un legame di simpatia, reale o presunto, poiché abbiamo una tendenza a dire sì alle persone che ci piacciono;
  6.   scarsità: attribuire valore alle cose che sono difficili da reperire, perché tendiamo a ottimizzare le risorse poco disponibili.



 Sara D'Aristotile

lunedì 24 giugno 2013

GENITORI IN ATTESA

Fasi psicologiche della gravidanza



A livello fisiologico i nove mesi di gestazione sono un tempo preparatorio sia perché l'embrione e il feto possano maturare e crescere fino a diventare un individuo pronto ad affrontare la vita al di fuori dell'utero materno, sia perché il corpo della madre possa gradualmente prepararsi ad accogliere un corpicino che cresce e modificarsi per aiutarne la nascita. Accanto a questo insieme di fitti cambiamenti fisiologici, non sono mai da dimenticare gli altrettanto intensi mutamenti psicologici che la madre attraversa durante la gravidanza, che sono da considerarsi propedeutici a renderla, anche dal punto di vista psicologico, una madre pronta a prendersi amorevolmente cura del suo bambino. Si immagini per assurdo che la gravidanza si svolga nell'arco di una settimana. In tal caso la nostra specie avrebbe avuto veramente poche probabilità di arrivare fino ai giorni nostri. In un tempo così breve non sarebbe infatti possibile sviluppare il senso di attaccamento così profondo che legano una madre e un bambino nei nove mesi di gestazione e che consentono al bambino di poter contare su un accudimento che lo accompagnerà costantemente soprattutto nei primi anni di vita. Anche in natura, più è lunga la gestazione nelle specie animali, più i cuccioli necessitano di lunghe cure materne anche dopo la nascita, prima di diventare individui autonomi. 
Ecco perché il tempo psicologico della gestazione è un fattore chiave su cui ogni donna in  gravidanza dovrebbe soffermarsi a riflettere.                                                     
Durante questi lunghi mesi la donna incinta vede alternarsi fasi psicologiche molto diverse tra loro.
Il primo trimestre è un momento di shock e di improvvisa necessità di assestamento sotto nuovi equilibri. Da un lato i veloci mutamenti ormonali e fisiologici che da subito interessano il corpo femminile (anche se spesso non ancora visibili) possono creare alla donna alcune difficoltà come stanchezza, nausea, cambiamenti di umore, dall'altro la delicatezza di questa prima fase della gravidanza non consente pienamente alla donna di gioire dell'evento che le sta capitando.
È relativamente frequente in questo periodo assistere ad interruzioni spontanee e precoci della gravidanza. L'ansia che si possa verificare questa eventualità, accompagnata alla mancanza di segnali dal corpo che possano far sentire la vitalità del bambino, sono elementi che accomunano
la maggior parte delle donne in questa fase.
Vi sono poi le preoccupazioni circa lo stato di salute del proprio bambino. Stati d'animo molto comuni sono la preoccupazione che il bambino cresca nel modo adeguato, che non abbia malattie genetiche, malformazioni o altre patologie. Da questo punto di vista, farsi costantemente seguire dal personale medico o ostetrico è un modo per trovare risposte a dubbi e paure che sono del tutto legittimi e comprensibili. È molto importante durante la gravidanza farsi accompagnare lungo tutto il percorso da persone, sia dal punto di vista professionale che umano, in grado di accogliere senza giudizio le preoccupazioni e gli stati d'animo della madre.


Il secondo trimestre appare come un periodo nettamente diverso. Da un lato è possibile rasserenarsi maggiormente circa l'eventualità di un aborto spontaneo (evento molto meno frequente in questa fase) e dunque "concedersi di mentalizzare" veramente l'idea che si sta per diventare genitori. Dall'altro lato, anche lo stato fisico della madre ritrova rinnovato benessere ed energia, che rendono questi mesi della gravidanza come forse i migliori sia dal punto di vista fisico, che psicologico.
Anche dal punto di vista della sessualità, il rapporto di coppia potrebbe trovare un giovamento. Nelle prime fasi il timore di poter nuocere all'
embrione in una fase altamente delicata condiziona molte coppie dall'avere una vita sessuale soddisfacente. Il secondo trimestre sembrerebbe essere il momento più adeguato anche per ritrovare una maggiore intimità, grazie al fatto che ancora il corpo della donna consente una certa agilità nei movimenti.
In questo periodo si assiste poi ad uno straordinario mutamento nella 
psicologia materna. La percezione dei movimenti fetali dentro il proprio corpo rendono finalmente "vivo e reale" il bambino. Questa costante comunicazione intrauterina tra la madre e il bambino, fatta di scambi e di percezioni, è una pietra miliare del rapporto psicologico tra i due e lo diventa anche tra il bambino e il padre, nel momento in cui i movimenti iniziano ad essere percepibili anche dall'esterno. Da questi primi sussulti e colpetti si gettano le basi per la formazione di quell'inscindibile legame affettivo che unisce un figlio ai propri genitori.

L'ultima fase della gravidanza vede ancora momenti altalenanti. Il tempo del 
parto si avvicina e così anche l'idea di poter conoscere veramente il proprio figlio. Durante la gravidanza la mente dei genitori ha costruito dentro di sé un "bambino immaginario", frutto delle fantasie maturate nel corso dei mesi. Con la nascita del bambino, i genitori incontreranno invece il loro "bambino reale", che nella maggior parte dei casi sarà diverso da quello che avevano immaginato o sperato. Questa fase può creare alcuni sconvolgimenti, che necessitano di un tempo di elaborazione psicologica tanto superiore, quanto maggiore sarà lo scostamento rispetto a quello che ci si era aspettati (si pensi alla speranza di avere un figlio sano e veder nascere un bambino con alcune difficoltà o patologie).
L'ultima parte della gravidanza si confronta poi con il tema del parto. Il corpo della donna diventa sempre più "ingombrante", la fatica fisica si fa sentire e nella mente della donna diventa sempre più presente il pensiero al 
travaglio e al parto. Mentre molte donne vivono questa attesa con naturalezza e come parte fisiologicamente integrante del processo, altre donne soffrono di una vera e propria ansia all'idea di provare dolore, perdere il controllo del proprio corpo, essere ospedalizzate o provano paura all'idea che il proprio corpo possa essere trasformato o lacerato in modo irreversibile. Anche in questo caso i corsi di preparazione al parto sono fondamentali sia per dare nozioni pratiche utili a sedare il senso di angoscia o preoccupazione, sia per avvicinarsi psicologicamente per tempo a questo evento.
In tutte queste alterne fasi psicologiche della gravidanza, è da sottolineare l'indispensabile ruolo che il partner della donna svolge durante l'intero percorso. Poter costantemente contare su un compagno sensibile, empatico ed accogliente è uno degli aspetti chiave che fa sentire la donna "forte" nell'attraversare le fragili e oscillanti "altalene" psicologiche della gravidanza.

-Rappresentazioni  materne dell’essere genitore:
Stern definisce il “senso dell’essere madre” come la nuova identità psicologica della mamma che si definisce solo alla nascita fisica del bambino. Ogni neo-mamma sviluppa un assetto mentale fondamentalmente diverso da quello precedente. L’assetto materno, non nasce con il parto, ma emerge gradualmente dal lavoro profondo e intimo cumulatesi nei mesi precedenti all’effettiva nascita. Man mano che il feto cresce e si sviluppa nell’utero, il bambino è soggetto ad uno sviluppo nella mente della madre, le rappresentazioni materne del feto aumentano di ricchezza e specificità dal quarto mese di gravidanza quando, le mamma cominciano a sentire i movimenti del bambino in modo più definito. Nello scenario psichico della gravida, emergono conflitti e fantasie che prepotentemente riemergono dal passato, per andare ad intrecciarsi con la nuova modalità relazionale che la donnaora, mette in atto con il partner, con la madre, e nella relazione in germe col “bambino immaginario”. In questo senso la maternità assume una connotazione di intimità e di profondità, che, in condizioni di normalità, consente alla donna di riorganizzare la propria identità personale (Stern, Bruschweiler-Stern, 1997). Si è riscontrato inoltre, che tra il settimo e il nono mese, le mamma tendono a disfarsi delle rappresentazioni più positive in modo da prevenire le delusioni. Durante la gravidanza e anche successivamente, la donna attribuisce al marito un’identità diversa che è quella di padre del bambino più che di compagno e spesso queste attribuzioni sono accompagnate da minor desiderio sessuale da parte della donna.

-Rappresentazioni paterne:
Parallelamente ad un mutamento in campo sociale della figura maschile, pare aumentare la tendenza ad una partecipazione sempre più significativa alla gravidanza della partner da parte degli uomini.
L’uomo deve operare una ridefinizione dei compiti genitoriali concretamente, entro una relazione di coppia data, nella quale vengono rinegoziate le “regole” del rapporto quando si programma insieme la nascita di un figlio. La costruzione di una propria individuale identità paterna, contestualizzata attraverso la considerazione della relazione con la partner, nella fase evolutiva di accoglimento del “terzo” che rappresenta la prova evidente di una relazione d’amore. L’uomo vive l’identificazione paterna  in modo più difficoltoso, soprattutto nel rappresentarsi il feto come bambino reale. Durante l’attesa di un figlio acquista, anche per l’uomo, un peso significativo il poter ripercorrere le tappe della vita precedente per trovare un filo conduttore con i propri genitori e le generazioni precedenti, che permetta di ricreare un rapporto di intimità con la propria famiglia di origine. Il contributo di Beaton, Doherty e Rueter (2003), a questo proposito, mette in evidenza che aver percepito discordanza tra i genitori, così come ritenere di avere avuto un padre competente nelle funzioni genitoriali, siano, per i cosiddetti “padri in attesa”, fattori associati rispettivamente ad un coinvolgimento nella gravidanza di tipo positivo, e ad un coinvolgimento intenso. Il passaggio alla genitorialità, per i soggetti di sesso maschile, sembra essere caratterizzato più dall’assunzione di una nuova identità sociale che non dalla ristrutturazione emotiva ed affettiva. La nuova identità è fortemente influenzata dalla rappresentazione mentale e simbolica del proprio
genitore, la quale viene riletta e risignificata sulla base della funzione culturale e sociale che la figura del padre racchiude a livello simbolico.

-Essere padre e sentirsi padre:
E' importante per il padre costruirsi un proprio spazio mentale in cui far entrare il figlio già dal momento della gravidanza. Il padre infatti non subisce i cambiamenti fisici della madre, che la aiutano a ripensarsi nel nuovo ruolo.  Anche nella fase dell'allattamento, che ribadisce ancor di più l'attaccamento madre-figlio, il padre deve essere in grado di ritagliarsi un ruolo nelle funzioni di protezione e assistenza.  L'essere padre è un riconoscimento da parte dell'uomo di funzioni e responsabilità. Il sentirsi padre è invece la percezione emotiva della paternità, la capacità di costruirsi un'immagine accanto al proprio bambino. Per questo è necessario che il padre sia attivamente presente fin dalle prime fasi di vita del piccolo. Anche la madre dovrebbe essere in grado di favorire questa presenza, facendosi ogni tanto da parte.  L’essere padre assume attualmente un’accezione diversa da quella di “detentore di autorità” e madre come “figura biologica che agisce per istinto”. Si sta assistendo quindi alla nascita di un nuovo modello di famiglia caratterizzato da un rapporto paritario con il partner e un legame più intimo e profondo con i figli. Ed è un cambiamento importante nel ruolo del padre rispetto alla tradizione, anche se nella cultura e nella legislazione il riconoscimento sembra procedere con molta lentezza. 

Centro di Psicoterapia Familiare


martedì 11 giugno 2013

TERAPIA FAMILIARE

L’alleanza familiare nel Lausanne Triadic Play


Il Lausanne Triadic Play (LTP) è una situazione semi-standardizzata di gioco nella quale madre, padre e bambino giocano insieme. Prevede, al centro di una stanza, la presenza di due sedie e di un seggiolino per il bambino. Le sedie sono orientate verso il seggiolino del bambino in modo da formare un triangolo equilatero al cui vertice si trova il bambino: questa disposizione permette l’interazione con il bambino in una giusta distanza fisica ed emotiva.
 Nell’LTP lo psicologo osserva e valuta le qualità delle interazioni del sistema triadico padre-madre-bambino all’interno di una situazione di gioco. Scopo del gioco è la capacità della famiglia di condividere momenti di piacere e di comunicazione intersoggettiva e per riuscirci, tutti e 3 i membri della famiglia devono lavorare assieme come fossero una squadra.
Il gioco familiare viene suddiviso in quattro momenti:
-         nella prima parte uno dei due genitori gioca con il bambino mentre l’altro genitore osserva senza intervenire
-         nella seconda parte i genitori invertono i ruoli, il genitore che prima giocava con il bambino si limiterà ad osservare, mentre l’altro giocherà con il bambino
-         nella terza parte del gioco i due genitori giocano assieme al bambino
-         nell’ultima parte del gioco i due genitori parlano tra di loro mentre il bambino li osserva. In questa fase vengono messe in evidenza le capacità di adattamento del bambino di fronte ad una situazione in cui i genitori non si occupano di lui pur essendo presenti

Nell’LTP si valutano quattro tipi di modalità interattive attraverso le quali la famiglia assolve a determinate funzioni:
1-    partecipazione, ossia i partecipanti al gioco sono tutti inclusi nell’interazione?
2-    organizzazione, ossia i partecipanti al gioco sono tutti nel proprio ruolo?
3-    attenzione focale, ossia i partecipanti al gioco prestano tutti attenzione alle attività di gioco?
4-    contatto affettivo, ossia i partecipanti sono tutti in contatto affettivo?
A ognuna delle quattro funzioni viene assegnato un punteggio totale la cui somma complessiva indica la valutazione della qualità delle interazioni familiari, ossia l’alleanza familiare. Vi sono 4 tipologie diverse di alleanza familiare:
1-    alleanza cooperativa, in cui l’interazione familiare è caratterizzata da cooperazione reciproca tra i partner. Il gioco tra i partner porta tutta la famiglia a momenti di divertimento e di coinvolgimento
2-    alleanza “in tensione”, in cui la famiglia incontra difficoltà di coordinazione legate quasi sempre a un’inadeguata gestione dello stress che interviene durante il gioco
3-    alleanza collusiva, in cui durante il gioco i partner presentano difficoltà legate a conflitti coniugali. Non vi è né divertimento né coinvolgimento reciproco anche con il bambino ma competizione tra i partner
4-    alleanza disturbata, in cui nell’interazione tra i partner non si riescono a percepire gli obiettivi e spesso il gioco si conclude con una rottura improvvisa o con una situazione di stallo che si protrae per lungo tempo
Le alleanze disfunzionali nella famiglia possono diventare funzionali se i partner riescono a interagire fornendosi sostegno reciproco, creando un contesto favorevole e protettivo per l’adattamento del bambino per lo sviluppo della famiglia. La famiglia riesce a collaborare insieme come una squadra e quando si verificano dei problemi i partner riescono a superarli attraverso la cooperazione e la coordinazione.

 Fonte: claudiasposini.bloog.it

lunedì 10 giugno 2013

PENSIERI

Oggi concediti un minuto per riflettere…



Scegliere la felicità dipende solo da te. Essere felice e coltivare la
 tua felicità è utile a te stesso e alle persone che ami. La ricerca 
attiva della felicità è il miglior modo di onorare la tua vita e la tua 
esistenza. Le soddisfazioni che arrecano solo piacere ci permettono 
di diventare persone ricche, persone di successo, persone 
rispettabili… famose… potenti… ma anche tutte queste cose messe 
insieme non riusciranno ad alzare il tuo grado di felicità.


(A. Bonacci - Manuale della felicità)

domenica 9 giugno 2013

DEPRESSIONE MATERNA

DEPRESSIONE MATERNA E SVILUPPO DEL BAMBINO



L’ acquisizione recente in base alla quale i bambini, fin dal momento della nascita (e probabilmente anche nel periodo prenatale), sviluppano le loro potenzialità rispecchiandosi nella mente della madre, pone numerosi problemi.

Quando nasce un bambino, le madri affrontano un periodo di tempo in cui devono riorganizzarsi nella nuova situazione e trovare le energie sufficienti per accudire nel miglior modo possibile il figlio.

L’incremento di stress e fatica, la deprivazione del sonno e ritmi di vita alterati, nonché particolari livelli ormonali conseguenti al parto possono favorire in molte donne un particolare stato emotivo caratterizzato da tristezza, sfinimento e attacchi di collera denominato depressione post-partum.

Tale condizione, se protratta nel tempo, può danneggiare lo sviluppo del bambino. La depressione post-partum si manifesta infatti non solo con un silenzioso ritiro, ma anche con stati mentali ed emotivi non regolari (si può passare improvvisamente dal silenzio ad una rabbia immotivata) e quindi in grado di disturbare e ostacolare la possibilità del piccolo di autoregolarsi o semplicemente di sintonizzarsi con la mente della madre .

E’ come se il bambino cercasse di “leggere” nella mente della mamma la tranquillità per tranquillizzarsi , il calore affettivo per abbandonarsi a sensazioni buone e calde senza trovare alcun riscontro.

In questa situazione di mancata di sintonia il bambino si agiterà fino a non percepire più un legame sicuro.

Le emozioni comunicate dal viso della madre e la sua capacità di sintonizzarsi con i bisogni del figlio sono carenti proprio quando questi ha più necessità di essere attivato, rassicurato e tranquillizzato.

Si è visto che le madri meno attive, che imitano meno spesso i vocalizzi del bambino, che modulano poco il tono della propria voce per accordarlo con le esigenze del piccolo e che tendono spesso a disimpegnarsi dai normali gesti di accudimento, provocano particolari comportamenti nei figli: maggiore durata del pianto e degli stati di protesta, poco tempo dedicato all’esplorazione e al gioco, poco interesse alle novità e interazioni limitate con gli estranei.

Una mancata sintonizzazione precoce (di cui la depressione materna rappresenta solamente una delle cause) può incidere sul successivo sviluppo dei bambini sia a livello cognitivo che emotivo, rallentando alcuni processi neurobiologici basilari per lo sviluppo del cervello.

Un ulteriore pericolo consiste nel fatto che la depressione materna può addirittura suscitare nel bambino comportamenti di accudimento, creando una particolare inversione del processo di rispecchiamento, rischiando però un arresto del suo sviluppo.

Occorre dunque aiutare neomamme e neopapà, per un periodo di tempo ragionevolmente lungo dopo il parto con opportuni interventi di politica sanitaria, affinché rischi di questo tipo vengano limitati.

Il cervello degli esseri umani, a differenza di altri organi e apparati, si sviluppa, come già si è ripetuto più volte, in connessione con altri cervelli: se tale connessione non funziona, il cervello più plastico (quello dei bambini) è destinato a cedere qualcosa, con risultati spesso pesanti.

www.educazioneemotiva.it

EDUCAZIONE EMOTIVA



Un buon legame (a noi piace chiamarlo “sintonia 

emotiva”) si realizza quando i

genitori favoriscono nei figli la condivisione 

dell’attenzione (cosa stiamo

 osservando?), dell’intenzione (cosa stiamo facendo?), 

dell’affettività (quanto ci

 vogliamo bene?) e del significato dei messaggi che 

vengono scambiati (cosa ci 

stiamo dicendo? Cosa ci stiamo comunicando? Cosa ci 

sta succedendo?).

Tuttavia, affinché si sviluppi una buona sintonia, è 

necessaria una deliberata 

ricerca di condivisione (non si realizza naturalmente): 

ciò implica un certo impegno di 

tempo.


Se ogni bambino per crescere sano ha bisogno di 


“essere con” qualcuno che si occupi 

di lui, quel qualcuno dovrà “stare con” il bambino, 

rinunciando inevitabilmente a 

qualcosa.
 www.educazioneemotiva.it