giovedì 17 aprile 2014

BAMBINI E ABITUDINI - II Parte

DOUDOU: Come utilizzarlo?


Prima di metterlo nella culla la mamma deve dormire con il doudou una notte per impregnarlo con il suo odore corporale. Ripetere il primo passo dopo averlo lavato. Le puericultrici incoraggiano le future mamme a scegliere un doudou per il proprio bambino, e a tenerlo con sé nel letto durante la gravidanza. L’ odore familiare di mamma e papà potrà così rassicurare il bambino fin dalle primissime ore.
In Francia il doudou è una cosa seria, fa già parte della famiglia prima ancore che il bambino venga al mondo. Quando il piccolo viene affidato ad altri il doudou rappresenta per lui un legame con la propria casa e con i propri genitori. Perdere il doudou è un dramma per tutta la famiglia, per questo esistono appositi servizi di immatricolazione che permettono di ritrovarlo in caso di smarrimento, o riviste che mettono a disposizione una sezione di annunci dedicati ai doudou smarriti.
Ogni tanto un giro in acqua e sapone è d’obbligo, ma fatto di giorno con detergenti naturali. Nel caso il bambino non ne voglia sapere di adottare un secondo oggetto transazionale i genitori potrebbero comprarne sempre due. Potrebbero farlo subito, senza aspettare che il primo si rompa o che venga perso o dimenticato, soprattutto se viene utilizzato per dormire. Uno si lascia nel lettino e uno si usa come jolly, per esempio tenerlo nella borsa che si porta al parco, dai nonni o dagli amici, così da agevolare il sonno del bambino.
Un esempio di doudou:
Durante la crescita il bambino passa diverse fasi e il ciuccio potrebbe essere il suo oggetto transazionale per eccellenza, quell’oggetto a cui è emotivamente legato. Verso i 6/8 mesi fino all’anno di vita il bambino comincia ad avere la consapevolezza che la mamma può comparire o scomparire dalla sua vista, ma non dalla sua vita: in questo modo stabilisce dentro di sé una rappresentazione stabile della figura materna. A questo punto potrebbe essere idoneo l’uso del ciuccio che consente lui di tollerare questa lontananza dal genitore nel tempo e nello spazio, creando uno spazio simbolico e nello stesso tempo reale, per contenere l’angoscia e il suo dispiacere per la separazione. Con lo sviluppo questi oggetti vengono abbandonati ma in situazioni particolari di cambiamento possono tornare per attenuare paure legate e nuove scoperte e per ritrovare quella sicurezza conosciuta, in sua compagnia, durante l’infanzia. I cambiamenti sono destabilizzanti per i piccoli e vanno aiutati con calma e gradualità per abituarsi alle novità.
“Ogni bambino ha il suo tempo e non sempre corrisponde al nostro … “
Un bambino per essere pronto a lasciare il ciuccio, o l’oggetto transazionale, deve aver raggiunto un certo sviluppo emotivo e una capacità di auto-consolazione tale da potergli consentire di affrontare determinati momenti della giornata, come ad esempio il momento della separazione per la nanna, senza quell’aiutino in più. E’ importante togliere quell’abitudine di tenere sempre il ciuccio in bocca in ogni momento della giornata perché così perde la sua funzione di coccola, e su questo bisogna che i genitori non cedano. Con il tempo si potrà cominciare a stimolare l’eliminazione del ciuccio, quando il bambino vivrà un momento di relativa stabilità emotiva. Si potrebbero inventare delle storielle che possono traghettare questo momento, i bambini amano le favole e spesso imitano i personaggi.
E’ importante condividere con le altre figure che si occupano del bambino queste esperienze per trovare una linea comune e seguirla insieme, serve costanza e pazienza, ma quando i genitori prendono una strada dovrebbero portarla avanti con fermezza, i bambini sanno leggere dentro.

E se il bambino perde il suo “doudou”?
Potrebbe succedere di vedere una mamma in preda alla disperazione se non riesce a trovare “la coperta di Linus” del bambino, il genitore potrebbe comportarsi come se si trattasse di una questione di vita o di morte, perché il bambino potrebbe reagire piangendo e urlando senza tregua e diventando inconsolabile. In questi casi solo nel momento in cui si ritrova l’oggetto il bambino si calma, passa dal singhiozzo al sorriso in meno di un secondo, alla sua vista i suoi occhi si illuminano.
Questi oggetti sono talmente importanti per il bambino che se per qualche motivo si smarriscono o si dimenticano è un vero dramma per un bambino piccolo. Il genitore se per qualche motivo dimentica l’oggetto potrebbe mantenere per primo la calma e non andare in panico, altrimenti fa capire al bambino  che senza l’oggetto, lui, non può farcela. Si potrebbe addolcire questa dimenticanza con parole e abbracci. A volte però la situazione non è rimediabile: l’oggetto si è perso e non si trova più. In questi casi si può spiegare con sincerità al bambino come stanno le cose, non illuderlo e raccontargli bugie. Si può cercare insieme un oggetto sostitutivo, senza fretta, lasciandogli il tempo per elaborare quanto è successo. A noi sembra banale, ma per un bambino che cerca la rassicurazione in quello che lo circonda non è così. I drudo sono importanti e rassicuranti per la costruzione della sua identità, fiducia e sicurezza in sé stesso. Le separazioni, le perdite fanno parte della vita e questa è una delle prime esperienze che il bambino si può trovare ad affrontare. Ci potrebbe volere pazienza e dolcezza per coccolarlo quando il suo oggetto di solito era più necessario la sera prima di dormire, potrebbe servire una doppia dose di coccole e rituali che lo aiutino a rassicuralo e tranquillizzarlo.
Alcuni bambini portano sempre con sé un oggetto senza separarsene mai, non è un campanello d’allarme, è normale, è un oggetto che infonde al bambino sicurezza. Non bisogna pensare a quest’attaccamento come qualcosa di malato, col tempo il bambino non sentirà più la necessità di avere con sé l’oggetto e l’abbandonerà. Crescendo comincerà a sentirsi più autonomo dal punto di vista emotivo e potrà fare a meno dell’oggetto transazionale. I genitori potrebbero: non ridicolizzare il bambino per il fatto di possedere l’oggetto; accettare che quest’oggetto fa parte della sua persona; mantenere l’oggetto in buone condizioni dal punto di vista igienico; non ripararlo o lavarlo all’insaputa del bambino perché sarebbe come spersonalizzarlo; non obbligarlo a rinunciare ad esso. 
Dott.ssa Sara Drudi

martedì 15 aprile 2014

BAMBINI E ABITUDINI - I Parte


LA COPERTA DI LINUS


Familiarmente, in francese, il doudou è l’oggetto feticcio di un bambino. Di solito un pupazzo, una copertina, uno straccetto, una maglietta, un ciuccio, un qualsiasi oggetto al quale il piccolo sin dai primi giorni di vita si affeziona, e questo oggetto diventa indispensabile per un lungo periodo della sua vita.
 Linus e la sua copertina … (inseparabile doudou). Si tratta a tutti gli effetti di un oggetto transazionale, ne parlò per la prima volta un pediatra psicoanalista inglese Donald Woods Winnicott. Egli mise in rilievo l’importanza del gioco e in particolare di quello transazionale, cioè quella particolare situazione di gioco nella quale il bambino utilizza un oggetto come confortante per far fronte alla frustrazione e al dolore derivanti dal distacco con la figura primaria di attaccamento. Winnicott intuì che è il padre, e non l’oggetto transazionale, il primo mediatore della relazione madre-bambino.

L’oggetto transazionale è un ponte che aiuta il bambino ad entrare in contatto con la realtà permettendogli di adattarsi ai cambiamenti e di superare le difficoltà.

Gli esperti ritengono che l’uso di un oggetto transazionale abbia origine dal primo riflesso di suzione del neonato, dunque transazionali non sono solo cose-oggetti, ma anche azioni, abitudini, consuetudini, che fanno parte del normale processo di crescita ma che se ripetute all’infinito possono far parte del meccanismo di difesa: regressione o fissazione al fine di recuperare o mantenere il proprio equilibrio psicologico.
Il bambino nel ripetere sempre la stessa azione cerca sicurezza, si sente più fiducioso e tranquillo.
Questo oggetto è un modo per far rivivere un’esperienza piacevole tipica della prima infanzia, anche se il bambino impara ad ottenere soddisfazioni in diversi modi, non elimina il primitivo piacere vissuto nei primi mesi di vita.
La famosa copertina di Linus, consente al bambino di rivivere un senso di sicurezza in quanto è associata al calore ed alla tenerezza dei primi giorni di vita. L’ uso eccessivo di un oggetto transazionale può essere indice di una grave mancanza di sicurezza: se il bambino arriva al punto di non poterne fare a meno significa che la sua dipendenza è grande e che dietro vi è un forte stress emozionale, i genitori potrebbero cercare la fonte di tale insicurezza riscontrabile in un fallimento scolastico, un rapporto sterile con i genitori, un raffreddore, un mancato invito ad una festa, un lutto familiare.
Occasioni varie in cui gli oggetti transazionali possono avere un senso positivo e che aiutano il bambino a superare un’esperienza difficile, possono essere: le vacanze e il ricovero in ospedale. L’oggetto transazionale è un sostituto della mamma. Quando inizia la separazione mamma-bambino e la definizione dei confini di una e dell’altro, il bambino matura la necessità di avere con sé qualcosa perennemente. Dopo la scoperta di separazione temporale e spaziale dalla mamma e la conseguenza che la mamma gode di una vita propria e indipendente, adotta un oggetto come un suo sostituto. Ecco perché spesso il bambino si impossessa di oggetti che appartengono o sono appartenuti alla figura materna o perché  molti genitori potrebbero accompagnare il bambino fin da piccolo con peluche o altre piccole pezze che sono state precedentemente  a contatto con il corpo materno e che siano quindi impregnate dello stesso profumo-odore della mamma.
Su questo oggetto il bambino esercita un piano potere: a differenza della mamma, può decidere di tenerlo sempre con sé, lasciarlo e riprenderlo quando vuole. Imprime cioè un potere affettivo totale. Oltre a questo legame affettivo e di possesso molto forte, l’oggetto rappresenta, alimenta e sostiene anche la sfera più complessa del bambino: tramite questi oggetti i bambini iniziano a rapportarsi alla realtà esterna e ad agire su di essa. L’oggetto diventa il tramite grazie al quale riuscire ad agire sulla realtà, un simbolo per operare su di essa in modo astratto invece che concreto come è stato fatto fino a quel momento. Questi oggetti sono in grado di far sentire il bambino più fiducioso e sicuro nei momenti di stress, di stanchezza e di separazione dalla famiglia. Ogni bambino crea il proprio oggetto nel momento in cui investe qualcosa di significativamente affettivo e personale, oltre a ricordare i primi contatti con la mamma ha per il bambino un valore particolare in quanto è la prima ricchezza che egli possiede. E’ qualcosa che nelle mani del piccolo si anima di una vita propria e di un potere magico capace di diffondere fiducia, protezione e sicurezza, nei momenti cruciali.
Questo oggetto sul quale il bambino mostra odio e un amore incondizionato, ha un ruolo insostituibile per il suo sviluppo affettivo e sociale. A questi oggetti i bambini si attaccano profondamente e spesso diventano di importanza vitale, per esempio, nella fase immediatamente precedente al dormire. Solitamente potrebbero essere dei pupazzetti con il corpo di stoffa morbida con al centro una testina e sui quattro angoli le zampine, può essere una maglietta della mamma, un orsacchiotto o una coperta.
L’utilizzo è vario e singolare per ogni bambino, c’è chi lo strofina sul naso, chi lo succhia, chi deve averlo semplicemente tra le mani. L’importanza sta nell’odore che emana … quello di mamma e papà. I bambini amano molto i rituali, per lui assumono una fondamentale funzione di contenimento e di rassicurazione. Il rituale è costituito da uno schema di azioni che si ripete, prima dell’evento stressante, in maniera pressoché invariata e ha la funzione di contenere la sua ansia e rassicurare il bambino, come se gli si dicesse “non ti preoccupare” , è tutto sotto controllo. Il bambino potrà allora richiedere che alcuni oggetti siano esattamente in una certa posizione o di ascoltare sempre la stessa fiaba, esattamente con le stesse parole …
Ai rituali si associa spesso il così detto oggetto transazionale, fondamentale compagno di viaggio nella crescita del bambino. Dal peluche al giocattolo preferito, dal cuscino alla bambola, questi oggetti danno al bambino conforto e sicurezza, al punto da poter diventare inseparabili. L’oggetto transazionale rappresenta la madre, o più in generale, le figure familiari, ne contiene l’ansia da separazione, rendendo l’altro presente nel tempo e nello spazio. Questi sono oggetti di cui i bambini non ne possono fare a meno. Non importa il tipo di oggetto, il bambino non ne può fare a meno, e se lo porta anche a letto. Potrebbe succedere che le madri si ritrovino a tornare indietro dopo essere partite con la macchina, perché l’oggetto del cuore è rimasto a casa. Fin dai primissimi mesi il bambino dorme con questo oggetto e per molto tempo non lo lascerà. Il bambino vive il momento della nanna come un momento di distacco dalla mamma, e questo oggetto ne prende il posto, continuando una sorta di legame madre-figlio. Per poter vivere questa fase serenamente ci potrebbe essere una selezione degli oggetti a disposizione del bambino, in modo che lui scelga da solo e senza imposizioni l’oggetto preferito, si può puntare su oggetti morbidi, senza cuciture e senza cerniere che possono fargli male, e senza piccole parti che potrebbero staccarsi ed essere ingerite dal bambino, si possono scegliere oggetti che in caso di perdita si possono ricomprare uguali senza grandi traumi.  Si dice senza imposizioni  perché ci sono bambini che non sentono il bisogno di questo oggetto.

Bisogna lasciare a loro la scelta che spesso cade su oggetti che neanche si immaginava, ma si devono offrire oggetti sicuri. L’oggetto sarà un prezioso compagno  per la serenità del bambino e può confortarlo in tutte le situazioni di particolare stress e solitudine. Quando il bambino sarà pronto durante la crescita lo abbandonerà gradualmente, non bisogna forzarne il distacco, la cosa si risolverà in modo naturale.
Dott.ssa Sara Drudi

lunedì 14 aprile 2014

IL MAL D’ASILO

ASILO SI O ASILO NO: I MESSAGGI DI DISAGIO MANDATI DAI BAMBINI


L’asilo è un servizio educativo che ha una funzione sociale, finalizzato a favorire la promozione del benessere fisico del bambino. Gli asili offrono al bambino degli stimoli che favoriscono la sua crescita e sviluppo, sperimenta la condivisione di giochi, spazi, esperienze con i coetanei, è un posto in cui il bambino si confronta con tempi precisi e condivisi. La frequenza dell’asilo favorisce lo sviluppo della personalità del bambino, e ne promuove l’autonomia e la socializzazione. Si tratta di un contesto socio-educativo in cui i bambini fanno delle esperienze formative (punto di vista didattico e vita personale).

L’ingresso al nido prevede due fasi l’accoglienza e l’inserimento.

Accogliere un bambino al nido significa trovare delle strategie di rapporto tra nido e famiglia, modulare la separazione del bambino dal proprio ambiente, mantenere una continuità con l’esperienza maturata nel suo ambiente di vita naturale. Gli aspetti psicologici sono: ansia del genitore rispetto alla nuova esperienza, difficoltà del bambino a causa di ansia da separazione e tensione che potrebbe avvertire dai genitori, ansia dell’educatore rispetto al coinvolgimento emotivo richiesto.
La fase dell’inserimento rappresenta la fase iniziale in cui il bambino esprime il suo disagio all’interno dell’asilo nido (solo in alcuni casi), lancia un messaggio per far capire che non riesce ad inserirsi all’interno del nido, esistono vari sintomi per manifestare questo disagio.
E’ un evento psicologico e pedagogico centrale nella pratica educativa. I genitori nell’evento separazione sono attraversati da emozioni intense, dolorose, complesse e ambivalenti. 

L’inserimento presuppone una particolare attenzione e consapevolezza dell’importanza e del ruolo della “relazione primaria” per la qualità dell’esperienza emotiva del bambino e per la strutturazione della sua identità, del suo pensiero, della sua mente. (Bowlby, 1972).

La fase dell’inserimento dura dalle due alle tre settimane, (questo a seconda dell’asilo che il genitore sceglie), giorno dopo giorno si potrebbero notare le trasformazioni comportamentali adottate dal bambino nell’asilo. All’inizio nella maggior parte dei casi, secondo me, i bambini manifestano dei comportamenti negativi che con il passare del tempo potrebbero diventare positivi, pochi bambini potrebbero iniziare in modo positivo e portare a termine il percorso in tutta serenità. Questo processo coinvolge direttamente gli adulti che stanno intorno al bambino, comprese le educatrici, il processo richiede la partecipazione attiva e armonica degli adulti all’interno di un sistema organizzato di spazi, tempi e situazioni.
Il primo giorno il bambino e la mamma si trattengono per circa mezzora all’interno dell’asilo: a volte basta far entrare il bambino nella stanza dei giochi per distrarlo e inserirlo subito e senza traumi, altre volte il distacco dalla mamma richiederà un po’ più di tempo e sarà necessario un inserimento graduale che dura per più giorni.
Il secondo giorno le mamme aspettano fuori dalla stanza, tenendo sempre sott’occhio il bambino in caso di pianto e ricerca disperata della figura materna, questo per permettere al bambino di scoprire il nuovo ambiente e fare conoscenza con i nuovi amici e le educatrici.
Dal terzo giorno in poi la mamma può allontanarsi, se il bambino è sereno, ma deve garantire la reperibilità. Il bambino si trattiene per tre ore, i genitori per affrontare il distacco si devono mostrare tranquilli per trasmettere al bambino un sentimento di sicurezza.
E’ necessaria collaborazione e fiducia tra genitori e insegnanti, se viene a mancare questa sicurezza nel bambino si crea confusione, paura, e la permanenza al nido diventa fonte di sofferenza. Alcuni genitori vivono un senso di colpa nel lasciare il bambino al nido, ma se questo senso di colpa viene percepito dal bambino alimenta e conferma la sua paura di abbandono. E’ importante la presenza costante dei genitori all’uscita dal nido, perché il bambino non viva un sentimento di abbandono, questa presenza costante da al bambino la sicurezza del distacco. Bisogna salutare sempre il bambino prima di uscire dall’asilo in modo che lui si abitua al fatto che la mamma va via ma che poi torna a riprenderlo, è opportuno confortarlo verbalmente. I genitori non dovrebbero sostare troppo all’interno dell’asilo dopo aver consegnato il bambino perché questo potrebbe provocare in lui una nuova crisi. Una crisi di pianto forte è normale che ci sia nel momento del distacco, in tutti i periodi di interruzione della frequenza. La crisi dell’inserimento può anche non manifestarsi subito, ma anche dopo alcuni mesi. La frustrazione del distacco è positiva perché serve al bambino per crescere, bisogna dimostrarsi sereni di fronte al bambino che piange perché avverte le emozioni dei genitori, se loro sono tranquilli, il bambino lo sente e si tranquillizza. Non bisogna introdurre nuovi cambiamenti nella vita del bambino durante l’inserimento: il ciuccio può servire a consolare il bambino, non togliere il pannolino e il seno perché l’allattamento rappresenta la possibilità di ristabilire un contatto con la mamma, è anche un modo per tranquillizzarsi e scaricare lo stress del distacco. Se il bambino ha un oggetto preferito (cuscino, copertina, peluche, giocattolo, etc.) che porta sempre con sé o che richiede più volte al giorno perché ha il potere di tranquillizzarlo (oggetto transazionale) portatelo al nido.

Nella maggior parte dei casi si manifestano al nido d’infanzia dei segni più comuni di disagio. Il disagio infantile può presentarsi in diverse situazioni e momenti della vita del nido: si può realizzare nel momento dell’entrata o dell’uscita dall’asilo, nel momento delle attività, della routine quotidiana, durante il gioco libero. I segni di disagio vengono suddivisi in base alle situazioni in cui si generano:

- i primi avvengono durante i momenti istituzionali, queste situazioni determinano difficoltà da parte dei bambini e dei genitori nella separazione, soprattutto se il processo d’attaccamento tra genitore e figlio è molto forte, questo genera nel bambino modalità per esprimere, nascondere o negare la propria sofferenza;

- difficoltà di separazione dai familiari e di entrata all’asilo al nido: è un momento difficile per il bambino e per la famiglia, rappresenta il primo distacco ufficiale dal proprio nido familiare per poter partecipare alla vita sociale che lo circonda, composta da adulti e coetanei. Nel primo periodo i bambini provano dispiacere e tristezza nel separarsi dai propri genitori, ma questo si identifica come un reale disagio nel momento in cui il bambino dopo un tempo molto prolungato dalla separazione continua a piangere e restare tra le braccia dell’educatrice opponendosi completamente allo svolgimento delle attività proposte, nel caso in cui l’educatrice non riesce a consolarlo e le sue proposte di gioco non vengono minimamente accettate allora si parla di reale disagio da distacco parentale;

- attraversamento iperattivo o blocco motorio: nel primo il bambino si precipita dentro lo spazio del nido schizzando in giro con il rischio di farsi male o di fare male a qualcuno, questo comportamento rappresenta un forte disagio legato alla elaborazione psichica della separazione, sembrerebbe che il movimento, lo spazio e il corpo nel loro iperinvestimento abbiano lo scopo di negare la sofferenza più che di attualizzarla e incarnarla. Si tratta di un meccanismo di difesa, è il classico darsi da fare per mascherare l’incapacità di stare all’interno di un certo contesto, contenente determinate regole, o per nascondere una difficoltà o il risultato di un trauma subito in passato (ad esempio aver subito un abuso, potrebbe aver vissuto sin dalla nascita all’interno di un istituto magari lontano dalla madre, etc.). Il blocco motorio, rappresenta la reazione opposta, in questo caso il bambino reagisce alla separazione dai caregivers familiari attraverso un blocco fisico per non sentire alcun dolore. Il bambino/a resta immobile, bloccato/a nel corpo o nell’espressione finché qualcuno non si occupa di lui o di lei;

- rifiuto del cibo: non si tratta di inappetenza o difficoltà nel mangiare autonomamente, in questo caso s’intende un rifiuto evidente, totale e sofferto dell’atto del mangiare in sé. L’educatrice non deve agitarsi di fronte al rifiuto del bambino, perché il rifiuto non riguarda lui a livello personale, ma il ruolo professionale che riveste. Utilizzando le sue difese istituzionali il nido dovrà fare da schermo all’invasione di tali ansie, in modo che il piccolo possa, attraverso la presenza dell’insegnante, sperimentare delle modalità relazionali diverse durante il pasto;
- difficoltà nell’utilizzo del bagno: con questo non s’intende l’eventuale ritardo riguardo all’autonomia del controllo sfinterico, anche perché all’asilo nido i bambini portano ancora il pannolino, ma ai momenti di sofferenza, angoscia o paura che alcuni bambini possono manifestare al momento della defecazione. Le ragioni di questa crisi d’angoscia possono avere origini diverse, ad esempio la conseguenza di dolore provocato dai momenti di stitichezza, i quali sono aggravati dalla paura con la complicazione relazionale quando la madre è costretta a manovre invasive. Sono momenti che vanno osservati con attenzione perché rappresentano le basi strutturali dell’autonomia del bambino. L’educatrice potrebbe intervenire con il gioco utilizzandolo come uno strumento utile per allontanare il disagio fisiologico;
- ricongiungimento molto difficoltoso: nel momento di conclusione della giornata al nido vi è il ricongiungimento, a volte questo ritrovo non avviene nei migliori dei modi. Il bambino non si precipita subito tra le braccia del genitore, manifestando fastidio e indifferenza. Questo avviene perché il piccolo ha difficoltà nel riconoscere contemporaneamente due figure di attaccamento, dopo molto tempo trascorso al nido automatizza l’educatrice come punto di riferimento quindi nel momento del ricongiungimento ha difficoltà nel riconoscere la figura della madre come primaria. 
Altre tipologie di disagio si manifestano nel momento delle attività proposte dalle educatrici.
- rifiuto della consegna: la negazione del bambino rispetto a una consegna proposta dall’educatrice riguarda il rifiuto del bambino nei confronti della relazione con l’adulto; equivale ad un no al legame che si realizza attraverso la consegna didattica. I più piccoli utilizzano questo rifiuto come strategia contraria: restare con l’adulto e non allontanarsi da esso. In questo caso è vivo nel bambino il timore di allontanarsi dal suo caregivers  per eseguire l’attività e rischiare di perdere il suo punto di riferimento. A volte questi comportamenti sono momentanei e transitori;
Gli ultimi disagi riguardano i momenti liberi nei quali la presenza dell’educatrice è più distante e la natura dell’autonomia del bambino è più viva. Il livello e la qualità del gioco libero rivelano quanto il bambino è autonomo o quanto invece è perso perché non più contenuto dalla presenza organizzante dell’adulto. Il bambino che si perde all’interno del gioco è un bambino che inevitabilmente possiede un disagio;
- gioco disorganizzato: riguarda tutte le difficoltà che derivano dalla perdita di senso del gioco iniziato. La perdita di senso può dipendere da tanti fattori, sia di tipo emotivo (eccesso di emozioni) sia di tipo evolutivo (garantire al gioco un senso logico). La strategia più utilizzata è quella d’aiuto, che implica una vicinanza dell’adulto al gioco del bambino, con l’obiettivo di far ritrovare ad esso la capacità di giocare liberamente senza intoppi;

- inibizioni: è un blocco che impedisce al bambino di giocare o svolgere qualsiasi altro tipo di attività, questa inibizione può essere determinata da  cause diverse che intaccano l’interdizione di diverse forme espressive come la parola o il movimento. Spesso l’adulto utilizza la strategia del tifoso che incoraggia, ma nei casi di reale disagio questo comportamento può essere controproducente (il bambino si sente al centro della situazione e ha un blocco ancora più evidente).

 La strategia d’aiuto deve concentrarsi sulla capacità dell’adulto di offrire al bambino ciò di cui ha bisogno tramite l’offerta di atti psichici positivi: per atti psichici positivi si intendono tutti quegli atti pratici (emozioni, azioni, parole, movimenti, oggetti, organizzazioni spazio-temporali) che hanno il potere di rimettere in moto i meccanismi del gioco che risultano bloccati. 
Dott.ssa Sara Drudi

IO SONO BORDERLINE

RAGAZZE INTERROTTE”: Il Linguaggio del Dolore



Il film è tratto dal diario autobiografico di Susanne Kaisen: la storia inizia nel 1967 quando lei, dopo aver tentato il suicidio, arriva al Claymoore Hospital, una clinica psichiatrica che ospita le cosiddette ragazze interrotte, sofferenti cioè di patologie che hanno deviato la loro personalità e nella quale dovrà rimanere per 18 mesi. Quando lo psichiatra diagnostica un disturbo borderline di personalità e lo riferisce ai genitori, la madre ha una reazione violenta.

In quella struttura angusta conosce altre ragazze della sua età e con tutte stringe una forte amicizia imparando a convivere con le loro nevrosi. Nel chiuso ospedale, il gruppo organizza una fuga che ha conseguenze tragiche. Alla fine Susanne dovrà scegliere fra il mondo di coloro che vivono all'interno dell'istituto e quello al di fuori. Aiutata, deciderà di lasciarsi alle spalle questo 'universo parallelo', rivendicando la propria indipendenza.




Ma da cosa è affetta la nostra protagonista?

Il Disturbo Borderline di Personalità (DPB) è una patologia caratterizzata da repentini cambiamenti d’umore, instabilità dei comportamenti (atti autolesivi) nel creare e mantenere relazioni di qualsiasi genere: amoroso, amicale, interpersonale. Altro tratto fondamentale è una marcata impulsività e difficoltà ad organizzare in modo coerente i propri pensieri.

 La reazione emotiva, in queste persone, è duratura poiché vi è una maggiore vulnerabilità emotiva, per cui gestire le proprie emozioni diventa molto più difficile. Come Susanne, coloro che soffrono di un disturbo Borderline, instaurano relazioni intense e coinvolgenti, al limite della follia, estremamente instabili e insane, il tutto farcito da una forte dipendenza affettiva verso il partner.

Tratto predominante di tale devianza è la promiscuità sessuale. Ma anche la gelosia morbosa non esula dai vari atteggiamenti insani dei nostri protagonisti: una gelosia talmente invasiva da indurre profonde angosce che, con un elevato sentimento di possessività, si manifesta anche nelle relazioni amicali. Nei rapporti amorosi, inoltre, la dedizione sfocia spesso in pensieri deliranti verso la persona amata: l’ossessione sfiora vari aspetti, prediligendone alcuni piuttosto che altri. È per questo motivo che il Borderline inizia le sue relazioni cercando di occuparsi in tutto e per tutto del suo partner, dando inizio così, al gioco delle corrispondenze: esso pretende che la posta aumenti di volta in volta, come le lamentele e le richieste. Nel momento in cui la corrispondenza non torna iniziano i sospetti e le fantasie tendenti alla svalutazione dell’altro. La regola del gioco si basa sul principio del tutto o nulla, dove l’altro deve confermare le regole e non sbagliare mai, se vuole proseguire  la relazione.

In genere la fase “luna di miele”, per coloro che s’imbattono in una storia con una persona così “interrotta” dura molto poco; infatti, quando il rapporto incomincia a concretizzarsi, il Borderline farà qualcosa per spezzare e chiudere ciò che si stava creando. E cosa c’è di più tagliente di un tradimento? L’atto che maggiormente ferisce l’altro. Ma potrebbe esser anche un abbandono, un litigio furioso che servono ad umiliare e annientare.

Il partner si trova di fronte, improvvisamente, ad una persona diversa, dalla doppia personalità: un angelo tramutato in diavolo.  Una volta passata la tempesta tutto torna come prima e il “mostro” di qualche momento precedente ridiventa affettuoso e tenero.

Soprattutto le donne affette da questo disturbo sembrano odiare chi le ama ricoprendole d’attenzioni e, di contro, possono innamorarsi di persone anaffettive e maltrattanti.


Ma quali sono le cause principali che predispongono a tale disturbo?

“Probabilmente un’infanzia trascorsa in un ambiente in cui il soggetto può essere esposto a relazioni genitoriali anaffettive, svalutazione dei propri stati mentali quali: pensieri, emozioni, percezioni e sensazioni fisiche. Ma anche carenze di cura, interazioni caotiche e inadeguate, nonché  maltrattamenti e abusi sessuali. Oppure, ad incidere, ci sarebbero fattori genetico-temperamentali che aumentano la vulnerabilità, predisponendo la persona allo sviluppo della disregolazione emotiva.”



Vivere con questi protagonisti non è facile; spesso le favole iniziano come un sogno ma poi si trasformano in un incubo. Star con loro significa creare un legame di Amore-Odio, un rapporto ossessivo ed instabile da cui diventa, poi, davvero arduo uscire. Anche quando l’amore è finito da tempo, il partner del Borderline può decidere di continuare la relazione mettendo in atto gesti rischiosi quali l’autolesionismo, il tentato suicidio, o ancora, minacce, ritorsioni e vendette.

Dunque potrebbe essere opportuno, come possibilità di uscire dal tunnel di questa loro vita parallela, un percorso psicoterapeutico adeguato.


“…….non mi interessava in fondo che abusassero del mio corpo: non c’è possesso dell’altro nello scopare, non c’è nulla di intimo, se lo si fa senza amore, amicizia o affetto. Non c’è scambio, non si dà e non si prende niente: la somma algebrica tra il prendere e il dare è uguale a zero. [……..] Ad ogni modo… stavo male, e per fortuna in taluni momenti riuscivo anche a rendermene conto: si dice che quando sei ancora in grado di renderti conto che stai male vuol dire che hai già iniziato a guarire, ma non so se poi è davvero così. Capivo di star male è vero, ma capivo anche che la mia vita era lì, ferma, immobile, stagnante in una sorta di infinita palude, senza che andasse né avanti né indietro. Anzi no, forse più che in una palude, è più corretto dire che mi sentivo all’interno di una botte che rotola freneticamente giù per una scoscesa vallata.
La mia vita era così. Stava precipitando ad una velocità folle, e non sapevo come riprenderla in mano”.

Tratto da “Irene F. diario di una Borderline” di EUGENIO CARDI.

Dal film: Ragazze interrotte diretto da James Mangold: scena specifica in cui la protagonista legge sul manuale la patologia dalla quale è affetta: “sindrome da personalità Borderline”.
Dott.ssa Sabrina Agostinone

martedì 8 aprile 2014

IL TRIANGOLO NO!

PERSONAGGI IN CERCA DI … COLLOCAZIONE!


Il triangolo no! Così cantava il celebre Renato Zero un po’ di anni fa; il famoso cantautore già nel 1978 dava libero sfogo alla sua sfera sessuale ironizzando su quello che poi sarebbe diventato un “particolare” triangolo amoroso: lui, lui l’altro.
La possibilità di avere relazioni inizia nella nostra vita proprio attraverso un triangolo”: non può esserci relazione, se prima non si passa attraverso una situazione a “tre”.
Questa fase, che inizia intorno ai tre anni di vita, ha a che fare con la trasmissione del primo vero amore infantile che, si manifesta all’interno del nucleo familiare coinvolgendo le tre figure principali: madre – padre – bambino/a.
Lei, lui, l’altro/a rappresenta la condizione cui il bambino sperimenta le sue arti seduttive che lo porteranno a cercare, da un lato, di conquistare il genitore del sesso opposto e, dall’altro, di sperimentare un senso di rivalità verso il genitore dello stesso sesso. È per questo che tutto quello che non viene risolto lascerà, nel corso del tempo, una traccia indelebile e, richiederà una rievocazione proprio all’interno delle relazioni future.
Il triangolo può illudere a lungo, specialmente la donna, che il problema appartenga all’altro: infatti, nella fantasia femminile, il disagio è vissuto come un’impossibilità dell’altro a rendersi disponibile.
Tra le esperienze relative alla dimensione amorosa, il tradimento, il sospetto, il fantasma, la paura di essere delusi e ingannati, sono sicuramente tra le più penose. Anche vincoli d’amore potenti e apparentemente indistruttibili hanno spesso a che fare con gelosie, vendette, tradimenti.
L’esperienza dell’infedeltà assume per ognuno una valenza personale, oltre che culturale, legata ai propri modi di pensare e di vivere la coppia e se stessi. Sono innegabili i vissuti profondi che in genere va a smuovere, anche se non se ne vuole prendere coscienza: abbandono, perdita e di rabbia per chi lo subisce; senso di colpa e di disorientamento anche per chi lo conduce.

In “Amare tradire” (Bompiani, 2000) lo psicoanalista Aldo Carotenuto scrive che “anche se spesso il tradimento viene vissuto come la distruzione dell’amore, in realtà esso rappresenta il motore della sua trasformazione”.
Il messaggio è che “cambiamento e fallimento sono profondamente legati e quindi se non attraversiamo il fallimento, l’errore, la ferita, la disillusione non saremo in grado né di guarire, né di proseguire per la nostra strada”.
Pur essendo un comportamento riprovevole, il tradimento viene ugualmente condotto: chi lo subisce viene investito da un tempesta di emozioni, dalla rabbia alla tristezza, passando per la vergogna e l'impotenza.

Ma cosa spinge una persona a ricercare l’amore di un uomo impegnato?
Laddove, nell’infanzia, le figure genitoriali, non vengono interiorizzate come accoglienti ed empatiche, nella vita adulta la ricerca di un rapporto amoroso dovrà fare i conti con i propri vissuti interiori e tenderà verso situazioni difficili o impossibili.
In un rapporto triangolare, l’amante è costretta a vivere in clandestinità, credendo di “avere” le parti più belle dell’altro ma, in realtà, gode solo in parte e forse non lo conosce nemmeno profondamente. È più difficile amarsi e condividere la quotidianità piuttosto che incontrarsi saltuariamente, magari in un motel.
Sternberg propone un triangolo amoroso chiamato “dell’azione” in cui ad ogni componente dell’amore corrispondono delle azioni e non solo pensieri.



v La passione: ovvero il desiderio sessuale, l’attrazione fisica e l’erotismo; erotico  richiederà il contatto fisico, la sessualità, la varietà e non la monotonia dei comportamenti sessuali.
v  L’intimità: cioè la sensazione d’essere vicini, uniti e legati l’uno all’altro; richiederà la comunicazione dei propri sentimenti interiori, l'offerta del sostegno emotivo, la condivisione del proprio tempo e delle proprie cose.
v  L’impegno: vale a dire il dovere verso l’altro, il prendersi cura, la volontà di costruire un rapporto nel tempo; comporterà il fidanzamento, il matrimonio, la fedeltà, la capacità di superare i momenti difficili, la capacità di trovare un valido compromesso nelle diverse legittime esigenze ed aspirazioni. 

Non si possono non citare, dunque, i triangoli amorosi più celebri di tutti i tempi:
ANNA KARENINALa bellissima Anna è sposata con Alexej Karenin, uomo nobile ma freddo e distante. S’innamora dell'appassionato conte Vronskij ma il loro amore porterà solo grandi disgrazie.
IL GRANDE GATSBYMeraviglioso e struggente triangolo: Jay Gatsby ama da sempre Daisy che però è sposata a Tom Buchanan che a sua volta la tradisce.
ORGOGLIO E PREGIUDIZIOLizie, ma come hai fatto a credere alle balle di Wickham e a non lasciarti sedurre in quattro e quattr'otto dal fascino e dall'aplomb di Mr Darcy.
CAMELOTArtù è sposato con Ginevra che è innamorata del migliore amico di Artù, il bello e coraggioso Lancillotto, il quale la ricambia. Ma Artù e Lancillotto sono amici per la pelle. L'amicizia, però, non è un legame abbastanza forte per impedire ai due amanti di fuggire insieme.


Il famoso “triangolo amoroso” ha spesso un significato di tipo compensatorio: l’amante diventa, quasi sempre, un vero e proprio pusher di emozioni, in quanto il legame principale risulta essere non appagante e soddisfacente. Colui o colei che ama, rappresenta il contro altare del partner, per caratteristiche fisiche, psichiche e sessuali; viene visto come un rifugio dal quotidiano, poiché regala emozioni e sensazioni forti, alimentando sempre il desiderio erotico.
Ma alla base di qualsiasi triangolo amoroso, purtroppo, c’è il tradimento: “Tradire significa infrangere le aspettative dell’altro, violare il patto di condivisione emotiva che le sostiene anche se le cause possono essere precedenti, e il tradimento essere un tentativo di soluzione di una sofferenza di coppia, o uno dei modi attraverso cui la sofferenza prende forma. Di fronte a un tradimento spesso si valutano le cose in modo istintivo dividendo i partner tra chi è colpevole e chi è vittima, chi fa il torto e chi lo subisce. Più rara è la ricerca di un significato interno alla coppia.”
Elaborare e superare un tradimento può essere un processo lungo e faticoso, che non tutti sono in grado di fare, portando così ancora di più i partner alla deriva. Un percorso individuale e di coppia potrà essere la giusta soluzione ma occorre impegno e volontà reciproca.

Adulterio: incollare altrove ciò che si è rotto in casa.
Julien De Valckenaer

"Chiunque sia sospettoso invita al tradimento."
Voltaire

Dott.ssa Sabrina Agostinone