martedì 21 gennaio 2014

IL LUTTO

AFFRONTARE UNA PERDITA


“Tutto ciò che ci è più caro ci può essere strappato;
ciò che non può essere tolto è il nostro potere di
scegliere quale atteggiamento assumere dinanzi
a questo avvenimento”
Victor Frankl



La morte è una tra le paure ancestrali più radicate negli esseri umani la quale, in ogni epoca e in ogni luogo, ha vissuto e vive di particolari rituali che vengono utilizzati per elaborarla, se non addirittura per esorcizzarla.
Il lutto è il sentimento di intenso dolore che si prova per la perdita di una persona cara ma può accompagnare anche altri importanti momenti di cambiamento e separazione quali un trasferimento geografico, un cambiamento nel proprio ruolo sociale, la fine di un lavoro, la nascita di un figlio malato o l'impossibilità di mettere al mondo un figlio, la separazione dal coniuge, ecc.
Vivere un lutto, implica la necessità di dover affrontare e sentire tutta una serie di sensazioni negative, che riguardano il dolore, la tristezza e la disperazione per l’accaduto. Questo dolore è talmente forte che alcune persone per evitare di star male, o per esser forti davanti agli altri, tendono a chiudere in un cassetto le emozioni più difficili e dolorose, facendo finta che ciò non sia accaduto, rischiando, in tal modo, di ottenere l’effetto contrario ossia aumentando la tensione psicologica e rallentando il processo di elaborazione del lutto stesso.
A chiunque sia mancato un figlio, un coniuge, un genitore, un fratello, un nonno, un amico, sente di aver perso una parte di se stesso e, com'è naturale, sperimenta un periodo di sofferenza e di difficoltà che porta a sentirsi soli e deprivati del suo affetto, della sua esistenza. Il senso di vuoto psichico, emotivo e, a volte, anche fisico, determina spesso un profondo stato di confusione tale da far sì che la persona si trovi senza più punti di riferimento.
Il dolore che si prova nell’elaborazione di un lutto è una reazione naturale e imprescindibile dell’essere umano e l’intensa sensazione di tristezza vissuta dopo la morte di una persona è spesso associata al dolore. Dolore che tocca il nostro passato e la nostra capacità di guardare avanti: non solo perdiamo il calore della presenza della persona amata, e con questa una parte di noi stessi e della nostra storia, ma anche lo sguardo in avanti che si esprimeva in progetti e prospettive.
Il lutto è la conseguenza di uno strappo, di una penosa lacerazione: ci sentiamo feriti nel corpo così come nel nostro modo di relazionarci agli altri, nella nostra possibilità di pensare al futuro come nei nostri sentimenti più intimi. E’ una ferita, il cui processo di cicatrizzazione e di guarigione richiede tempo e fatica, un vero e proprio lavoro per poter tornare a vivere una vita sicuramente molto diversa da quella di prima e che, con il tempo, si scoprirà essere densa di valore se solo si riesce ad integrare la perdita nella trama della nostra vita.
La sofferenza per la morte di una persona amata prende forme diverse a seconda del rapporto che esisteva con chi è scomparso, del modo in cui la persona è morta, di come ognuno di noi affronta le difficoltà, nonché di tanti altri fattori come l'età, la fede religiosa, l'identità di genere, il livello di istruzione, le  precedenti esperienze di perdita, le difficoltà legate alla situazione generale e il tipo di sostegno a disposizione. L'esperienza della morte sarà, dunque, raccontata e vissuta da ognuno di noi in modi diversi ma anche all'interno della stessa persona, ci saranno momenti in cui un’esperienza, una sensazione, un pensiero, prenderà il sopravvento su altri. Si vive sballottati tra periodi in cui si è sommersi da ondate di sofferenza, nella quale si perdono il senso e il valore del vivere, e momenti in cui si torna a vedere la luce e si può riprendere, anche se solo per un attimo, il respiro.
Benché ognuno di noi viva in modi diversi la sua sofferenza, ci troviamo tutti ad affrontare un percorso almeno in  parte comune, fatto di fasi diverse e ostacoli da superare che Kubler-Ross teorizza in cinque fasi:

1.    Negazione/Rifiuto (in principio si nega il lutto come naturale meccanismo di difesa);
2.   Rabbia (quando si realizza la perdita, subentra un enorme carico di dolore che provoca una grande rabbia alle volte rivolta verso se stessi o persone vicine o, in molti casi, verso la stessa persona defunta);
3.   Negoziazione (si tenta di reagire all’impotenza cercando delle risposte o trovando soluzioni per spiegare o analizzare l’accaduto);
4.   Depressione (ci si arrende alla situazione razionalmente ed emotivamente);
5.   Accettazione (si accetta l’accaduto, riappacificandosi con esso, spesso sperimentando fasi di depressione e rabbia di natura moderata, volte a riconciliarsi definitivamente con la realtà).

L’elaborazione del lutto è un processo che viene vissuto da ognuno di noi in modi differenti e tali fasi non vengono attraversate da tutti e non necessariamente in tale ordine. Non è detto, infatti, che “piangere” o “deprimersi” sia un passaggio obbligato, così come, non sempre di arriva alla fase di accettazione. Ciò non vuol dire che il lutto resti irrisolto o che si debba intervenire necessariamente per paura di conseguenze o intoppi futuri nel benessere psicofisico della persona. Ogni persona ha bisogno del suo tempo e dei suoi spazi. Solo con il passare del tempo cambia il rapporto con il proprio dolore: lo stato di sofferenza si attutisce e gradualmente la vita comincia ad apparire meno vuota. Non c'è nulla che possa sostituire chi si è perduto: la sofferenza non può essere evitata né negata. E' necessario appropriarsi del proprio dolore, addomesticarlo, renderlo pensabile e vivibile aspettando che si verifichi quella trasformazione per cui la pena e la disperazione non vengono cancellate ma si tramutano in forza e ricchezza interiore. Il contatto con la morte, infatti, contiene, in sé, la possibilità di un'esperienza radicalmente trasformatrice.

Una donna, in preda alla disperazione per la perdita dell'unico figlio, si recò da un vecchio saggio per chiedere un incantesimo che lo riportasse in vita. Il saggio, dopo un lungo silenzio, disse: “Portami un seme di senape dalla casa dove non c'è mai stata la sofferenza: con quello porterò via il dolore dalla tua vita”. La donna si mise in cammino e presto scoprì che ogni casa aveva sofferto i suoi drammi: colpita dalla visione di tanta sofferenza, si fermò a soccorrere gli altri. E ne fu così coinvolta che dimenticò di cercare il  seme magico, senza capire ciò che aveva tolto la disperazione dalla sua vita.
(Antica storia cinese)

 Dott.ssa Teresa Giuzio
Centro di Psicoterapia Familiare