venerdì 28 febbraio 2014

PSICOLOGIA DELLA FAMIGLIA

Lettino o lettone: cosa c'è sotto?




Le difficoltà del sonno nei bambini possono essere molto diverse tra loro. Mentre alcuni si addormentano facilmente e dormono profondamente, altri non andrebbero mai a dormire e hanno il sonno leggero. C’è poi chi si sveglia regolarmente ogni notte e richiede la presenza del genitore per riaddormentarsi mentre altri manifestano queste difficoltà solo episodicamente. Ad ogni modo l'andare a dormire può creare nel bambino una situazione di ansia da separazione perché l'addormentamento rappresenta sempre un momento delicato.
Ci sono poi situazioni stressanti in cui i bambini si sentono troppo agitati per andare a dormire e possono aver bisogno della presenza rassicurante del genitore. È il caso, per esempio, del periodo in cui è in arrivo o è nato da poco un fratellino. La paura di essere escluso e il volersi assicurare il proprio posto possono ripercuotersi sia sull'andare a dormire che sulla qualità del sonno del bambino.
Il medesimo problema può presentarsi in periodi in cui la famiglia è in difficoltà (problematiche economiche, malattie, separazioni ed altre situazioni particolarmente stressanti che assorbono completamente i genitori). In questi casi, se un bambino non vuole stare solo e richiede la presenza della mamma e del papà, è perché ha bisogno di rassicurarsi sul fatto che continua ad avere uno spazio nella loro mente.
È importante fare queste distinzioni e comprendere se ci si trova nell’ambito delle normali vicissitudini quotidiane o si è di fronte ad un problema che dovrebbe essere affrontato con un aiuto esterno.
Diverso è il caso in cui la difficoltà ad addormentarsi da solo è continuativa e presente sin dalla nascita.
Anche senza entrare in aspetti più specifici, va premesso che il sonno ha un suo ciclo in cui le varie fasi si alternano, con risvegli parziali tra l’una e l’altra. Perciò il dormire per un periodo prolungato richiede al neonato la capacità di passare da una fase all’altra, anche cambiando posizione o succhiando, senza risvegliarsi completamente. Si tratta di un traguardo evolutivo precoce, che i neonati raggiungono in genere già nei primissimi mesi, alcuni fin dai primi giorni di vita.
Le difficoltà nel raggiungimento di questa importante tappa maturativa possono nascere da una particolare sensibilità del bambino, come nel caso dei bambini nati prematuri, ma in genere perdurano sulla base di un insieme di fattori in cui l'ipersensibilità del neonato si combina con ansie specifiche dei genitori, per esempio sullo stato di salute del figlio e/o sulla propria capacità di essere un buon genitore. Quando ciò avviene, l’acquisizione di questo importante traguardo evolutivo è impedita o disturbata e si produce un circolo vizioso di rassicurazione reciproca che comporta il bisogno di addormentarsi unicamente in presenza dell’altro.
L’incapacità a dormire da soli, quando non è la manifestazione di una regressione occasionale dovuta ad avvenimenti o situazioni particolari, va letta come un segnale di disagio e va considerata con la dovuta attenzione, anche per le conseguenze che essa può comportare in termini di stanchezza dei genitori e per il rischio di un deterioramento progressivo dei rapporti tra i componenti della famiglia. 
Se il bambino non vuole dormire nel suo letto bisogna considerare che esiste un’ampia gamma di situazioni relative sia al comportamento notturno del bambino, sia alle risposte dei genitori.
Ci può essere il caso del bambino che si addormenta unicamente nel lettone in presenza di uno dei genitori o di entrambi e successivamente portato nel proprio letto, a volte invece prosegue il suo sonno in quello dei genitori.
C’è poi la situazione in cui il bambino si addormenta nel proprio letto, ma si sveglia durante la notte e va nel lettone. Alcuni genitori dopo un po’ riportano il figlio nella sua camera mentre altri lo lasciano nel loro letto. In questo caso, non di rado, succede che uno dei genitori, solitamente il padre, finisca nel letto del bambino cedendo il proprio posto nel letto matrimoniale al figlio.
Possiamo addirittura avere situazioni in cui c’è più di un bambino a difendere ogni sera il proprio posto nel lettone, che diventa, sempre più, un territorio di conquista.
Generalmente i genitori spiegano la difficoltà nel far dormire il bambino nel suo letto con la propria stanchezza, con la comodità di averlo accanto senza dover stare svegli ad aspettare che egli si addormenti e con altri argomenti che, però, nella maggioranza dei casi hanno origine da un problema personale a porre dei limiti e/o da un problema di coppia a salvaguardare la propria intimità. Può accadere che alcune coppie di genitori “utilizzano” la scusa del bimbo nel lettore per celare l’esistenza di una crisi tra loro. Bisogna chiedersi, quindi, se il bambino viene accolto nel letto di mamma e papà soltanto per rispondere al suo bisogno o anche a quello della coppia. Solitamente i genitori sono quasi tutti ignari che ci possa essere un collegamento tra le loro difficoltà matrimoniali e la presenza di uno più figli nel loro letto.
Il dormire in tre viene spesso taciuto dai genitori ed è un dato a cui non viene assegnata la dovuta importanza e nella maggior parte dei casi i genitori se ne vergognano. Eppure il "chi dorme con chi" è una delle informazioni fondamentali per capire il funzionamento di una coppia, in quanto rappresenta il segnale indicatore di altri problemi celati.
I conflitti coniugali legati al passaggio dall’essere diventati genitori oltre che coppia, le rivendicazioni reciproche o quelle estese al gruppo familiare allargato, sono spesso le vere ragioni per cui uno dei due partner si allontana e si “rifugia” in un altro letto.
Il più delle volte accade che sia la donna che fatica a conciliare il suo nuovo ruolo di mamma con quello di moglie e finisce per utilizzare la presenza del bimbo nel letto per negare, inconsapevolmente, al suo partner momenti di intimità.
E' importante che la donna non lasci che il suo desiderio femminile venga assorbito nel desiderio materno e ricordi che l'essere madre non significa accantonare la Donna. Anche i papà, da parte loro, possono contribuire mantenere questa situazione di “separazione notturna”: potrebbero, infatti, essere meno “interessati” alle compagne/mogli che cominciano a vedere, anche prima della nascita del bambino, più come mamme che come donne.
E' importante che il bambino capisca, con l'aiuto dei genitori, dove collocarsi all’interno della famiglia e che non cominci a considerarsi il partner della mamma. Dovrebbe imparare  che il suo posto non è TRA mamma e papà, ma CON mamma e papà.
Intorno ai 3 anni, quando il bambino attraversa la fase edipica e cerca di intrufolarsi maggiormente nel lettone, i suoi tentativi dovrebbero essere scoraggiati da entrambi i genitori in modo sereno come “coppia alleata”.
La differenza dei confini tra il mondo del bimbo e quello di mamma e papà è fondamentale in questa fase. Per lui potrà essere doloroso vivere l'esclusione ma imparerà che questa è relativa soltanto ad una parte della relazione con i genitori, quella coniugale. Anche Freud, il padre della psicoanalisi, scoraggiava l’insediamento notturno del bambino tra la coppia di genitori, ritenendo la delimitazione degli spazi personali una grande occasione di crescita per tutti i componenti della famiglia.
Queste situazioni complicate sono più frequenti di quanto si possa credere e, pur essendo originariamente connesse con ansie e tensioni dei genitori, una volta create, potrebbero finire per accrescerle ed esasperarle rendendo più difficile una generale pacificazione.
Se questi problemi perdurano è molto importante considerare che, con il passare del tempo e con la crescita del bambino, i nodi che queste situazioni creano nei rapporti tra i componenti della famiglia potrebbero diventare sempre più aggrovigliati e difficili da sciogliere.
Sempre più spesso la vita di coppia dei genitori è pesantemente condizionata dalla presenza notturna del figlio o dei figli e questa sorta di “abdicazione” dalle funzioni centrali per la vita personale e per l’armonia della coppia può essere vissuta come irrilevante e determinata dalle esigenze del bambino, come se l’essere genitori fosse incompatibile con le proprie esigenze di riposo e di intimità.
Potrebbe accadere che da parte delle coppie, per i motivi più diversi ma sicuramente da non sottovalutare, è presente una una rinuncia a porre dei limiti a salvaguardia dell’intimità che rappresenta sempre, anche dopo essere diventati genitori, il cuore della vita coniugale.
Questa, purtroppo, è una rinuncia che non va a vantaggio di nessuno e che, al contrario, per la perdita dei confini generazionali, per la confusione dei ruoli e per le ansie e le rivendicazioni che si vengono a creare, compromette il benessere di grandi e piccoli. In queste condizioni, infatti, la confusione è tale che si potrebbe arrivare a sostenere che i bambini quando dormono non si accorgono di eventuali rapporti sessuali tra i genitori.
Dati clinici dimostrano quanto siano frequenti il turbamento e la confusione derivanti dall'esposizione precoce alla sessualità dei genitori. Ma, anche se il bambino non si svegliasse, perché rischiare di turbarlo, per di più condannandosi ad una vita sessuale clandestina? Tutto questo, anche se considerato marginale, andrebbe meglio indagato nell’ambito di una consultazione psicologica.
Bisogna considerare che la stanza dei genitori e il letto matrimoniale definiscono e rappresentano lo spazio privilegiato della coppia, spazio in cui l’uomo e la donna possono raggiungere un importante traguardo della maturità: sperimentarsi come adulti con una propria vita sessuale e, nello stesso tempo, come genitori. Non si tratta quindi di escludere i figli né di farli piangere da soli nel loro letto, ma semplicemente di garantire un proprio spazio a ciascun membro della famiglia.
Creare la distinzione di spazi contro la confusione, proteggere l’intimità della coppia e della propria sessualità, porre i giusti limiti senza pensare che questo pregiudichi il rapporto con i figli, sono indice di equilibrio e garanzia di un sereno rapporto di coppia che può sostenere un sano sviluppo del bambino.
Dott.ssa Barbara Leonardi