giovedì 3 dicembre 2015

AMORE 2.0

L'avvento dei Social Network, diventati ormai parte integrante della nostra vita quotidiana, ha sconvolto le nostre abitudini e i nostri comportamenti.
A questo sconvolgimento non si sottraggono neppure le relazioni sentimentali, che ora devono fare i conti con le nuove tecnologie.

Le cose sono cambiate profondamente, viviamo nella società dei social, dove non solo il contatto umano virtuale è a portata di click, a qualsiasi distanza, e tutto comincia con l’ammirazione per una foto del profilo di un perfetto sconosciuto.
Foto profilo su cui iniziamo a fantasticare e a investire e che, in un certo senso, sono diventate più importanti della presenza fisica reale, mediata non solo dal canale visivo, ma da tutti gli altri quattro sensi.

Anche da questo punto di vista la tecnologia ha inciso profondamente, perfino sui canoni estetici: applicazioni facilmente scaricabili sui più comuni smartphone (come Instagram o Retrica), permettono a chiunque di modificare le proprie foto a piacimento, aggiungendo e togliendo filtri, aggiustando luci, difetti, imperfezioni, rendendo la photoshoppata perfezione da copertina non più esclusivo appannaggio dei fotografi e delle modelle professioniste.
In questa società, in cui, soprattutto per gli adolescenti e i giovani adulti, un’immagine profilo vincente su Facebook diventa un passpartout relazionale, pose, luci e filtri digitali, hanno sostituito l’essenza di un particolare modo di sorridere, di un profumo, un difetto, una cicatrice, rendendo i primi approcci un concorso fotografico di bellezza, ponendo la scelta di potenziali partner sullo stesso piano della selezione di un vestito fra tante vetrine.
Un vestito che non abbiamo mai neppure toccato, indossato, provato sulla pelle.

L’influenza dei social, però, non si ferma unicamente al primo contatto, che, nonostante i risvolti negativi sopracitati, viene positivamente facilitato dal mezzo virtuale, ma anche e soprattutto si estende alla realtà relazionale di una storia sentimentale.
Assistiamo costantemente a come gesti dall’unica valenza virtuale, come il postare un cuore sulla bacheca Facebook dell’amato, abbiano sostituito in parte e a volte integralmente gesti concreti, tesi a costruire basi solide per una relazione duratura del tempo.
Gli amori adolescenziali (e tristemente non solo) nati sui social network spesso hanno breve vita: si nutrono di etere, di contenuti manifesti e pubblici a rimpiazzare una reale intimità, e si consumano in un centinaio di selfie e qualche decina di frasi d’amore scopiazzate da Tumblr o Insanity.

E, quando infine questi amori 2.0 implodono della loro stessa virtuale sostanza, si entra a far parte del circolo degli ex, dove la vera e propria impresa è la rimozione del ricordo.
Tutto, dalle frasi alle foto, dagli status ai giochi, che fino al momento precedente è stato entusiasticamente mostrato al mondo, forzatamente condiviso con la nostra metà e con l’intero networking delle reciproche amicizie virtuali, può ricordarci l’ex.
Se pur nell’era dei social network, un semplice clic non basta per eliminare legami, basta però per vendicarsi diffondendo, ad esempio, online le foto osé del proprio ex o diventare uno stalker.

Io credo che, chiunque tenda a vivere le relazioni sentimentali in questo modo, dovrebbe tentare di tagliare la realtà virtuale, il pubblico immenso del social network, fuori dalla porta di una reale intimità.
Fare lo sforzo di conoscere l’altro per ciò che è realmente, indipendentemente dagli status di Facebook e dalla galleria di Instagram, riscoprendo il valore della chimica, del contatto umano reale, del suono di una risata, di un modo unico di bere il caffè da una tazzina, di camminare, gesticolare, muoversi.
Sono convinta che bisogna riscoprire il valore del privato, del tempo trascorso insieme, nel microcosmo che è una coppia, senza la spasmodica necessità di fotografarne ogni istante, per sbatterlo alla mercé dell’intera utenza di internet.
Ricordare che ci si innamorava comunque, anche prima del primo cellulare, della prima fotocamera integrata, dell’avvento del web, prima che l’amore diventasse 2.0 .


 Dott.ssa Arianna Santarsiero
Laureata in Psicologia e tirocinante presso l'Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara

CHE RUMORE FA LA FELICITA'?

"Non essere triste, tirati su, cerca di non pensarci, non piangere, non avere paura!."
Quante volte ci siamo sentiti dire, o abbiamo detto a qualcun altro, frasi del genere? È come se fossimo immersi nella cultura del pensiero positivo per la quale se non sei felice hai qualcosa che non va, se vuoi reagire al dolore in modo dignitoso devi rifugiarti dall’espressione dell’infelicità.
Sfatiamo un falso mito: non esistono emozioni negative, ma a renderle tali sono il nostro giudizio o il nostro evitarle. Quest’ultima modalità può sembrare la strategia migliore per gestire le emozioni, ma a lungo si rivela un vero e proprio boomerang procurando molto più dolore di quello che abbiamo cercato di evitare.
Vi porto l’esempio di Inside Out, di cui Gioia e Tristezza sono le vere protagoniste. Brillante, solare ed esuberante la prima, scontrosa, impacciata e remissiva la seconda. Durante tutto il film Gioia non fa altro che cercare di tenere sotto controllo Tristezza affinché non faccia danni nella vita di Riley. Senza rendersene conto, però, contribuisce esclusivamente  a mandare in confusione l’universo emotivo della ragazzina fino al punto di generarvi un vero e proprio black out, che si risolverà soltanto quando riuscirà a darsi il permesso di essere triste.

Ci sono almeno quattro buoni motivi per accettare tutte le emozioni, anche quelle più dolorose:
1.   Non dovremo spendere energie nel tentativo di allontanarle e potremo dirigere le nostre azioni nella direzione desiderata.
2.     Avremo la possibilità di imparare qualcosa, prendendo confidenza e diventando abili nella loro gestione.
3.     Diventeremo più resilienti.
4.     Svuoteremo il loro potere distruttivo.

«Hai mai visto uno di quei vecchi film di cow-boy in cui il cattivo finisce nelle sabbie mobili e quanto più si dimena tanto più velocemente sprofonda? Se mai ti capitasse di cadere nelle sabbie mobili, sappi che agitarsi è quanto di peggio puoi fare. Devi invece sdraiarti, distenderti, e restare immobile a galleggiare sulla superficie. Ciò richiede una grande presenza di spirito perché ogni istinto dentro il tuo corpo ti dice di lottare; ma più lotti, peggio è. 

Lo stesso principio vale per le “emozioni spiacevoli”: più cerchiamo di combatterle, più ci mettiamo nei guai» 
(Russ Harris, La trappola della felicità).

Dott. Simone Ferrazzo
Laureato in Psicologia, 
tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus 
di Pescara