sabato 16 luglio 2016

LE 5 PERSONALITA’ PHILOFOBICHE…COME POSSIAMO RICONOSCERLE?

Secondo alcuni autori una conseguenza comune della Philofobia è l'anoressia sentimentale dal suffisso privativo greco "an" e dal verbo greco "orao": mancanza di desiderio, in questo caso sia sentimentale che sessuale.



Ma chi è l’anoressico affettivo?
Può essere una persona in apparenza socievole, amante della buona compagnia e dei divertimenti, ma allo stesso tempo un individuo solitario. La struttura di personalità che lo caratterizza è autarchica, ossia una persona chiusa in se stessa, regolata da stili di vita tanto indipendenti e conflittuali da non consentire la nascita e la persistenza di legami.

Ecco le 5 personalità philofobiche….

1.    Anoressico Ascetico
Si tratta di un individuo fondamentalmente solitario, poco incline alle relazioni in genere, spesso è una persona timida con tratti infantili. Presenta una normale rete sociale, spesso anche fitta, ma che pur al suo interno resta priva di contatti profondi e duraturi (sia in amicizia che in amore).

2.    Single Discontinuo
Questi individui prediligono relazioni brevi e fugaci, con il solo obiettivo di soddisfare la bramosia fisica e di fare esperienza. Una volta raggiunto il loro scopo essi si ritraggono nella loro abituale solitudine, caratterizzata da ipercriticità, noia, disgusto e la sensazione di uno scampato pericolo.

3.    Anoressico Conflittuale
Individui che inizialmente entrano nei rapporti con forti idealizzazioni, con stati di esaltazione che simulano l’innamoramento, ma presto riesce a trasformare il rapporto in un inferno. I sentimenti che prevalgono sono:
Ø Gelosia Morbosa E Strumentale
Ø Perpetua Insoddisfazione
Ø Invidia
Ø Critica
Ø Competizione

4.    Anoressico Parassitario
Sono individui che si nutrono delle vite altrui, spinti da un’invidia nei confronti di coloro che sono in grado di vivere l’amore. Il vero oggetto delle loro pulsioni erotiche e aggressive è il legame stesso; infatti ottenuto l’amore del partner si stancano del loro «giocattolo» e l’abbandonano il partner.

5.    Manipolatore Narcisista
Queste persone godono nel controllare la sua preda non perché la amano e ne sono gelosi, ma perché il controllo è per loro la forma perfetta di dominio. Così facendo, il manipolatore, acquisisce con il maltrattamento della sua preda il “diritto” di umiliare e denigrare costantemente i sentimenti di unione, allo stesso tempo difende se stesso dai sentimenti d’amore, da cui è terrorizzato e che è incapace di provare.


Dott.ssa Luisana Di Martino
Dott.ssa Chiara Giaquinta


Laureate in Psicologia e tirocinanti presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara

venerdì 15 luglio 2016

PAURA DI AMARE? COME RICONOSCERE LE PERSONE CHE SCAPPANO DALLE RELAZIONI SENTIMENTALI

Il termine Philofobia deriva del greco Philos= amore e Fobia = paura, questa parola viene infatti usata per definire la paura persistente e anormale di amare qualcuno. 


Che sentimenti prova il Philofobico?
Chi vive questa condizione ha il timore costante che l'innamoramento corrisponda a sofferenza e che prima o poi verrà ferito. Provano angoscia nel sentirsi attratti da altri, paura di aprirsi e di dipendere, rabbia per essersi lasciati intrappolare e invidia nei confronti di chi riesce a vivere i sentimenti di coppia.

Possiamo definire la Philofobia come una fobia specifica?
Sicuramente si; essa infatti possiede tutte le caratteristiche di una fobia specifica, quali paura marcata ed eccessiva della situazione temuta con una conseguente risposta ansiosa e immediata allo stimolo.
La persona percepisce l’innamoramento come una minaccia e deve quindi starne alla larga evitando tutte le situazioni che la tengono in contatto con la situazione temuta.

Dal punto di vista fisico…
Presenta dei segnali che la contraddistinguono, i soggetti affetti infatti possono presentare:
Ø Agitazione
Ø Nervosismo
Ø Tachicardia
Ø Nausea
Ø Sudorazione Eccessiva
Ø Senso Di Soffocamento
Ø Sensazione Di Vertigine
Ø Tremori
Ø Mal Di Testa
Ø Disturbi Gastrici
Ø Attacchi Di Panico

Dal punto di vista psicologico
Presentano desiderio di fuga e isolamento, senso di vergogna ingiustificato e paura di sentirsi giudicati o manipolati.

Associazione con altre fobie sociali
Ø Agorafobia: paura o grave disagio che un soggetto prova quando si ritrova in ambienti non familiari o in ampi spazi all’aperto temendo di non riuscire a controllare la situazione che lo porta a desiderare una via di fuga verso un posto più sicuro.
Ø Fobia Sociale: stato ansioso nel quale il contatto con gli altri è segnato dalla paura di essere mal giudicato o di comportarsi in maniera imbarazzante.
Risulta evidente come questa condizionare può nuocere significativamente la salute di chi ne soffre influendo negativamente sulla vita dell’individuo e di chi lo circonda.

Che comportamenti mettono in atto queste persone?
Quando sentono che c’è, con un’altra persona, attrazione, empatia, comunione di interessi o quando capiscono che stanno per innamorarsi presentano:
Ø Ghosting: tendenza del soggetto a sparire improvvisamente a causa della forte angoscia generata dal presentimento di un’intesa intima, profonda, sensuale. Come un fantasma, il philofobico si rende invisibile all’amore nonostante lo desideri: dirada gli incontri, cambia numero di telefono, rifiuta di comunicare col partner o addirittura di incontrarlo fino ad arrivare ad assumere comportamenti aggressivi che finiscono per allontanare l’altro.
Ø Ricerca continua di difetti nel proprio compagno
Ø Scelta di partner irraggiungibili
Ø Provocano continui litigi
Ø Si dedicano interamente alla carriera

Dott.ssa Alessandra Di Domenico
Dott.ssa Chiara Giaquinta


Laureate in Psicologia e tirocinanti presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara

venerdì 8 luglio 2016

RASSEGNARSI O ACCETTARE?


“Volere che la realtà sia diversa da quella che è, è come pretendere d’insegnare a un gatto ad abbaiare: puoi provare quanto vuoi, ma alla fine il gatto ti guarderà e ti dirà <miao>”. 

Con questo simpatico esempio Byron Katie ci fa riflettere su un punto fondamentale: volere che la realtà sia diversa da com’è è qualcosa di irrealizzabile. Eppure spessissimo pensiamo che determinate cose non dovrebbero essere come sono, che quell’amica non doveva comportarsi così, che il nostro datore di lavoro non doveva rimproverarci, che le nostre gambe dovrebbero essere più magre e toniche. Tanti “non dovrebbe essere così” che tentano di contrastare la realtà, di cambiare ciò che è, ma che hanno come unico risultato frustrazione, stress e sofferenza.



La soluzione sembra, quindi, smettere di opporsi. Tuttavia questa non resistenza ci fa sentire impotenti e passivi, rassegnati a una realtà che può tutto su di noi mentre noi non possiamo nulla su di lei. Ed è qui il punto focale di questo percorso: accettazione non è rassegnazione!  RASSEGNARSI è scegliere, più o meno consapevolmente, la strada della frustrazione, dell’impotenza, della tristezza, dello svuotamento, è accettare un fenomeno perché ci sentiamo incapaci di cambiarlo, ma questo implica anche che assumiamo una posizione passiva nella quale non siamo mai del tutto soddisfatti della scelta fatta.

Quello che possiamo fare è accettare la realtà e ACCETTARE, come suggerisce Romano Guardini, è osservare la realtà e predisporsi ad affrontarla, pronti a lottare per essa. È un atto di coraggio: implica che l’abbiamo compresa e condivisa, mentalmente ed emotivamente, e siamo pronti a viverla. Accettare le cose per ciò che sono, ma anche per ciò che non sono, con tutte le implicazioni che hanno per noi, ci da possibilità e libertà infinite: ci offre la capacità di vedere il mondo con occhi diversi, di avere un ruolo attivo nel processo, di passare dal ruolo di vittime a quello di protagonisti! E così abbiamo la possibilità e il potere di risolvere, migliorare, adattarci, rispettare e vedere il lato positivo della situazione. 


Rassegnarsi sarebbe sicuramente più semplice, meno faticoso, ma quanti danni farebbe? 
I rischi sono tanti: resteremmo sicuramente BLOCCATI di fronte a un muro che cerchiamo di abbattere, senza risultati se non una grande frustrazione, invece di cercare altre vie per aggirare quel muro e trovare nuove strade per andare avanti. 


Saremmo inevitabilmente INFELICI, perché la frustrazione del non riuscire a cambiare la situazione a nostro piacimento diverrebbe sempre più grande e apparentemente inevitabile, come un grande masso che ci costringiamo a trascinare, perché non sappiamo come lasciarlo andare. 
Infine questa grande frustrazione finirebbe per chiuderci gli occhi: totalmente CIECHI DI FRONTE ALLE NUOVE OPPORTUNITA’, rimarremmo inevitabilmente fermi nel passato.

Appare chiaro quindi che non è la situazione in sé a generare questa grande e dannosa frustrazione, bensì le nostre reazioni ad essa. Bene e male, negativo e positivo, in realtà si basano sui nostri punti di vista, su come scegliamo di reagire agli eventi. Quante volte siamo noi stessi a ingigantire una questione, a immaginare i peggiori esiti, a lasciarci prendere dalle emozioni negative, quando basterebbe cambiare prospettiva per renderle neutre e non più fonte di frustrazione. 

La vita ci mette continuamente di fronte a situazioni che non ci piacciono, ma noi abbiamo la possibilità di scegliere: essere vittime oppure prendere in mano le redini e cercare di trovare la soluzione più adatta a noi e al nostro obiettivo, continuare a tentare di abbattere il muro o sfruttarlo per continuare a percorrere la nostra strada. Impariamo ad abbracciare la vita con tutto quello che essa comporta, saremo sicuramente più felici.

Dott.ssa Alessandra Di Domenico


Laureata in Psicologia e tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara

mercoledì 6 luglio 2016

INTERVISTA A MARIO SIEGA

Mi è successo di vedere le sue foto su Facebook, tra uno scatto ironico e uno più serio dei suoi.
Mi sono chiesta: come ha fatto a rappresentare così bene l’angoscia e la solitudine di un mondo così inquietante, ed ancora troppo sconosciuto, come quello di chi  soffre di malattie mentali?
Io e Mario ci siamo conosciuti parecchi anni fa, proprio in un ambiente psichiatrico, un posto dove tocchi con mano la sofferenza e rischi di venirne travolto. Qualcosa resta dentro di quelle sensazioni e Mario, attraverso la sua sensibilità e la sua estrosità, è riuscito a farle riaffiorare attraverso il suo lavoro.

El sueno de la racìon produce monstrus” è il titolo di questo progetto, rintracciabile QUI


Ho voluto fargli qualche domanda, ed ecco il risultato.

I: Ciao Mario, vorrei partire con la tua presentazione… “Chi è Mario Siega?”
M: “Ciao!, sono Mario Siega, ho 32 anni ed ho studiato Psicologia. Mi piace definirmi una persona amante delle persone, sono un voyeurista, nel senso che sono sempre alla ricerca di emozioni che cerco di catturare attraverso la mia Reflex”.

I: “Di solito le emozioni vanno sentite, le tue si possono chiamare Emozioni da guardare?”
M: “Si, emozioni da guardare. Emozioni che normalmente sfuggono o passano inosservate. Quei piccoli gesti del quotidiano che passano come gesti automatici e senza importanza, ma che in realtà sono fondamentali.






I: “Che altro puoi dire di te?”
M: “Adesso sono una persona un po’ in frantumi, non sto raccogliendo i pezzi. Voglio aggiungere una citazione di Chuck Palaniuk che dice: dimenticare il dolore è difficilissimo, ma ricordar la quiete lo è ancor di più.; la felicità non lascia cicatrici da mostrare, dalla quiete impariamo cosi poco. Quindi appositamente mi lascio ancora nel dolore, per vedere fino a quando riesco a rimanere sano.”

I: “Una sfida con te stesso quindi?”
M: “No, in realtà non è una sfida. I cocci si rimetteranno a posto da soli. In realtà cerco di sfruttare questa situazione, altrimenti i cocci rotti e lasciati a terra sono fini a se stessi. “

I: “Stai dicendo quindi che i cocci a terra ti rendono più creativo?”
M: “Penso che ogni singola foto non c’è l’oggetto ma in realtà è il fotografo. Perché Tu vedi la realtà attraverso l’occhio di chi scatta. Lo si vede nei miei scatti: se sono felice lo scatto in qualche modo esprime questa felicità. Lo stesso accade se sono triste”.

I: “Che cosa fai nella vita? Di cosa ti occupi?”
M: “Lavoro nel sociale come insegnate di sostegno alle scuole superiori. Cerco di insegnare ai ragazzi con problematiche più gravi perché riesco a lavorarci meglio, riesco a trovare una particolare sintonia. Poi mi occupo di fotografia.
Nel corso degli anni mi sono occupato di tantissime cose, però riesco a lavorare solo facendo cose che mi piacciono. Comunque tutte le esperienze che ho fatto sono state collegate tra di loro.”

I: “Nel campo della fotografia quale ambito preferisci?”
M: “Mi piace fotografare un po’ tutto,  poi il lavoro retribuito non hai molto margine di scelta. Il cliente decide quello che vuole; ce ne sono alcuni più esigenti di altri i quali limitano in un certo senso la mia creatività. Tuttavia lo ritengo naturale perché c’è una committenza”.

I: “Da cosa è nato questo progetto fotografico dal titolo El sueno de la racìon produce monstrus?”
M: “Penso che ogni artista debba avere un’ispirazione, una musa ecco.“

I: “La tua musa è la follia?”
M: “La scelta di immortalare la follia è la conseguenza di numerose vicissitudini. Ho voluto analizzare la follia perché credo che in questo momento della mia vita mi ritrovo molto vicino al concetto di follia, sia in prima persona che come spettatore. E quindi ho voluto analizzarla. Mi è venuto in mente il titolo di un dipinto di Francesco Goya: Il sonno della ragione genera mostri. Io questa frase la interpreto così: quando mettiamo a tacere la ragione o usiamo troppo la ragione i mostri poi prendono il sopravvento, creando una realtà alternativa che è comunque una realtà, perché la follia è una realtà. Molti associano la parola follia alla parola creatività dandole un’accezione positiva, ma la vera follia è sofferenza quindi non si può desiderare di essere folli solo per risultare creativi o geniali. Tutti i miei ultimi scatti vogliono lanciare un messaggio diretto come questo”
I: “Che cos’è per te la follia?”
M: “Se parliamo di follia proprio intesa come patologia, tipo la Schizofrenia, è un discorso a parte. La follia è un senso di non realtà. Quando vivi in una realtà che ti sei creato ad hoc per te.”

 

I: “Perché rappresentarla con il nudo?”
M: “Perché la foto deve avere un senso. Il tema del nudo è perché così sei a nudo. Sei tu, con le tue imperfezioni, con le tue perfezioni, con le tue insicurezze. Sei tu. Sei indifeso e nudo davanti a tutti.



I: “Attraverso l’ambientazione che cosa volevi trasmettere?”
M: “Quest’ambientazione è a Chieti, è l’ex ospedale S.Camillo che è in disuso. Mi sono trovato li due anni fa cosi per caso. Sono attratto dai luoghi abbandonati. Poi questo in particolare è un luogo che trasmette molto. Ci sono state persone malate e sofferenti.”


I: “Quindi volevi trasmettere questo senso di malattia”
M: “più che altro è che questo è un posto angusto, che parla molto. Purtroppo abbiamo passato li un pomeriggio e poi il sole ha iniziato a scendere, altrimenti nel giardino avremmo fatto altri scatti. Le foto sono state fatte quasi tutte con luce ambientale.”

I: “Cosa ti ha colpito di più di questa esperienza?”
M: “Mi ha fatto molto piacere conoscere bene il ragazzo che ho fotografato, Jimmi Fascina. L’ho trovato molto interessante come persona e di grande cultura. Un po’ per lavoro, un  po’ per esperienza sono attratto dalle persone complicate. C’è stato questo feeling ed ho pensato potesse essere il soggetto ideale.”

I: “Hai mai vissuto esperienze che riguardano l’ambiente psicotico?”
M: “Si sono tanti anni che lavoro in ambienti psichiatrici ed ho fatto tante esperienze. Sono stato alla Lilium, ho lavorato a Roma in una comunità di tossicodipendenza. Molto bella e con soggetti molto interessanti. C’erano anche persone che dovevano scontare molti anni di carcere. Una sfida lavorare con persone che hanno alle spalle dei crimini molto importanti. Devo dire che sono stato riconosciuto subito, infatti mi hanno proposto quasi subito un contratto. ”

I: “Stai ricercando qualcosa attraverso questo progetto?”
M: “No, io cerco solo di rendere utile ogni cosa che mi succede, o in cui mi reputo bravo. La sofferenza aiuta a crescere ma poi cerco di andare oltre. Che posso fare io? Che mezzi ho per rappresentarla? E cerco di rappresentarla con i miei mezzi. Quindi questo lavoro, il mio libro e le foto.
Quando mi accadrà qualcosa di importante e che mi toccherà molto forse uscirà qualcos’altro di altrettanto importante.”

I: “Grazie Mario”

M: “Grazie a te, è stato un piacere.”


Dott.ssa Ivana Siena

martedì 5 luglio 2016

IL MIO ULTIMO ARTICOLO



"Io e voi. Quando il gruppo diventa un disagio"





Si tratta di imbarazzo, di insicurezza, di disagio.
Come fare per star meglio all’interno degli ambienti che frequentiamo? Per vivere con serenità il tempo in condivisione?
Le amicizie, i colleghi, la famiglia o semplicemente una passeggiata per strada o un tragitto nel tram. Sono tutti “luoghi” che mettono alla prova la nostra capacità di star bene con gli altri, ma prima ancora con se stessi.

Buona lettura!


Dott.ssa Ivana Siena