mercoledì 6 luglio 2016

INTERVISTA A MARIO SIEGA

Mi è successo di vedere le sue foto su Facebook, tra uno scatto ironico e uno più serio dei suoi.
Mi sono chiesta: come ha fatto a rappresentare così bene l’angoscia e la solitudine di un mondo così inquietante, ed ancora troppo sconosciuto, come quello di chi  soffre di malattie mentali?
Io e Mario ci siamo conosciuti parecchi anni fa, proprio in un ambiente psichiatrico, un posto dove tocchi con mano la sofferenza e rischi di venirne travolto. Qualcosa resta dentro di quelle sensazioni e Mario, attraverso la sua sensibilità e la sua estrosità, è riuscito a farle riaffiorare attraverso il suo lavoro.

El sueno de la racìon produce monstrus” è il titolo di questo progetto, rintracciabile QUI


Ho voluto fargli qualche domanda, ed ecco il risultato.

I: Ciao Mario, vorrei partire con la tua presentazione… “Chi è Mario Siega?”
M: “Ciao!, sono Mario Siega, ho 32 anni ed ho studiato Psicologia. Mi piace definirmi una persona amante delle persone, sono un voyeurista, nel senso che sono sempre alla ricerca di emozioni che cerco di catturare attraverso la mia Reflex”.

I: “Di solito le emozioni vanno sentite, le tue si possono chiamare Emozioni da guardare?”
M: “Si, emozioni da guardare. Emozioni che normalmente sfuggono o passano inosservate. Quei piccoli gesti del quotidiano che passano come gesti automatici e senza importanza, ma che in realtà sono fondamentali.






I: “Che altro puoi dire di te?”
M: “Adesso sono una persona un po’ in frantumi, non sto raccogliendo i pezzi. Voglio aggiungere una citazione di Chuck Palaniuk che dice: dimenticare il dolore è difficilissimo, ma ricordar la quiete lo è ancor di più.; la felicità non lascia cicatrici da mostrare, dalla quiete impariamo cosi poco. Quindi appositamente mi lascio ancora nel dolore, per vedere fino a quando riesco a rimanere sano.”

I: “Una sfida con te stesso quindi?”
M: “No, in realtà non è una sfida. I cocci si rimetteranno a posto da soli. In realtà cerco di sfruttare questa situazione, altrimenti i cocci rotti e lasciati a terra sono fini a se stessi. “

I: “Stai dicendo quindi che i cocci a terra ti rendono più creativo?”
M: “Penso che ogni singola foto non c’è l’oggetto ma in realtà è il fotografo. Perché Tu vedi la realtà attraverso l’occhio di chi scatta. Lo si vede nei miei scatti: se sono felice lo scatto in qualche modo esprime questa felicità. Lo stesso accade se sono triste”.

I: “Che cosa fai nella vita? Di cosa ti occupi?”
M: “Lavoro nel sociale come insegnate di sostegno alle scuole superiori. Cerco di insegnare ai ragazzi con problematiche più gravi perché riesco a lavorarci meglio, riesco a trovare una particolare sintonia. Poi mi occupo di fotografia.
Nel corso degli anni mi sono occupato di tantissime cose, però riesco a lavorare solo facendo cose che mi piacciono. Comunque tutte le esperienze che ho fatto sono state collegate tra di loro.”

I: “Nel campo della fotografia quale ambito preferisci?”
M: “Mi piace fotografare un po’ tutto,  poi il lavoro retribuito non hai molto margine di scelta. Il cliente decide quello che vuole; ce ne sono alcuni più esigenti di altri i quali limitano in un certo senso la mia creatività. Tuttavia lo ritengo naturale perché c’è una committenza”.

I: “Da cosa è nato questo progetto fotografico dal titolo El sueno de la racìon produce monstrus?”
M: “Penso che ogni artista debba avere un’ispirazione, una musa ecco.“

I: “La tua musa è la follia?”
M: “La scelta di immortalare la follia è la conseguenza di numerose vicissitudini. Ho voluto analizzare la follia perché credo che in questo momento della mia vita mi ritrovo molto vicino al concetto di follia, sia in prima persona che come spettatore. E quindi ho voluto analizzarla. Mi è venuto in mente il titolo di un dipinto di Francesco Goya: Il sonno della ragione genera mostri. Io questa frase la interpreto così: quando mettiamo a tacere la ragione o usiamo troppo la ragione i mostri poi prendono il sopravvento, creando una realtà alternativa che è comunque una realtà, perché la follia è una realtà. Molti associano la parola follia alla parola creatività dandole un’accezione positiva, ma la vera follia è sofferenza quindi non si può desiderare di essere folli solo per risultare creativi o geniali. Tutti i miei ultimi scatti vogliono lanciare un messaggio diretto come questo”
I: “Che cos’è per te la follia?”
M: “Se parliamo di follia proprio intesa come patologia, tipo la Schizofrenia, è un discorso a parte. La follia è un senso di non realtà. Quando vivi in una realtà che ti sei creato ad hoc per te.”

 

I: “Perché rappresentarla con il nudo?”
M: “Perché la foto deve avere un senso. Il tema del nudo è perché così sei a nudo. Sei tu, con le tue imperfezioni, con le tue perfezioni, con le tue insicurezze. Sei tu. Sei indifeso e nudo davanti a tutti.



I: “Attraverso l’ambientazione che cosa volevi trasmettere?”
M: “Quest’ambientazione è a Chieti, è l’ex ospedale S.Camillo che è in disuso. Mi sono trovato li due anni fa cosi per caso. Sono attratto dai luoghi abbandonati. Poi questo in particolare è un luogo che trasmette molto. Ci sono state persone malate e sofferenti.”


I: “Quindi volevi trasmettere questo senso di malattia”
M: “più che altro è che questo è un posto angusto, che parla molto. Purtroppo abbiamo passato li un pomeriggio e poi il sole ha iniziato a scendere, altrimenti nel giardino avremmo fatto altri scatti. Le foto sono state fatte quasi tutte con luce ambientale.”

I: “Cosa ti ha colpito di più di questa esperienza?”
M: “Mi ha fatto molto piacere conoscere bene il ragazzo che ho fotografato, Jimmi Fascina. L’ho trovato molto interessante come persona e di grande cultura. Un po’ per lavoro, un  po’ per esperienza sono attratto dalle persone complicate. C’è stato questo feeling ed ho pensato potesse essere il soggetto ideale.”

I: “Hai mai vissuto esperienze che riguardano l’ambiente psicotico?”
M: “Si sono tanti anni che lavoro in ambienti psichiatrici ed ho fatto tante esperienze. Sono stato alla Lilium, ho lavorato a Roma in una comunità di tossicodipendenza. Molto bella e con soggetti molto interessanti. C’erano anche persone che dovevano scontare molti anni di carcere. Una sfida lavorare con persone che hanno alle spalle dei crimini molto importanti. Devo dire che sono stato riconosciuto subito, infatti mi hanno proposto quasi subito un contratto. ”

I: “Stai ricercando qualcosa attraverso questo progetto?”
M: “No, io cerco solo di rendere utile ogni cosa che mi succede, o in cui mi reputo bravo. La sofferenza aiuta a crescere ma poi cerco di andare oltre. Che posso fare io? Che mezzi ho per rappresentarla? E cerco di rappresentarla con i miei mezzi. Quindi questo lavoro, il mio libro e le foto.
Quando mi accadrà qualcosa di importante e che mi toccherà molto forse uscirà qualcos’altro di altrettanto importante.”

I: “Grazie Mario”

M: “Grazie a te, è stato un piacere.”


Dott.ssa Ivana Siena