lunedì 12 settembre 2016

INTERVISTA A JIMMI FASCINA

F: Buongiorno Jimmi Fascina. Siamo qui con Lei oggi perché rimasti colpiti da un servizio fotografico che ha svolto recentemente.
Prima, però, di arrivare al servizio fotografico vorrei che mi facesse una breve presentazione di Lei.

J: Buongiorno. Oh, bella domanda! Chi sono? Un filosofo, uno scrittore, un artista, semplicemente una persona che vuole conoscere se stesso a fondo perché credo che alla fine la vita sia un processo in cui noi siamo infiniti, abbiamo infinite possibilità. Da bambini facciamo tantissime cose, poi ci perdiamo, perdiamo queste cose … e passiamo la vita a cercare di recuperarle; ed è quello che sto cercando di fare. Direi quindi che sto cercando di recuperare il contatto con chi ero, con chi sono stato.

F: Come professione?

J: Prevalentemente la mia professione è fare il coach, sono un coach professionista. Aiuto le persone ad acquisire maggior consapevolezza, a raggiungere gli obiettivi, a motivarsi. Fondamentalmente a raggiungere ciò che davvero desiderano perché credo fortemente nelle infinite possibilità dell'essere umano. Poi tra le altre cose sono un operatore olistico quindi lavoro con l'energia, sia a contatto che a distanza. Sono stato un cuoco per 10 anni, sono un massaggiatore, fotografo, scrivo, canto, mi interesso di formazione, quindi formo le persone in vari settori.

F: Da cosa è nato questo progetto con Mario Siega, “El sueño de la razón produce monstruos”?

J: Non conoscevo Mario, prima di trovarlo ovunque andassi, ed io giro molto, ho vari interessi, ed anche lui.
L’ho poi notato su Facebook e mi sono chiesto: chi è questo tipo? I suoi interessi erano molto simili ai miei ed ho iniziato a dare un occhio ai suoi scritti. L’ho trovato di grande sensibilità, gli ho chiesto l'amicizia e abbiamo iniziato a sentirci. Poi ho scoperto che la sua passione principale è anche la mia, la fotografia per cui ho visto un po' di lavori che ha fatto e mi hanno colpito molto perché notavo una ricerca del particolare: Mario esprimeva una certa sensibilità nelle foto, ho notato che lui andava oltre l'aspetto tecnico e così gli ho detto mesi fa: “Mario se hai un progetto fotografico da fare, ti va di coinvolgermi?”. Lui ha accettato.
Volevo creare, perché quando ho bisogno di staccare da una situazione dolorosa e devo riprendermi preferisco creare in qualche forma artistica, scrivendo, con la fotografia o altro.

Nel frattempo Mario mi ha detto:“Mi vengono in mente un paio di posti in cui scattare.” Ti va di fare foto di nudo?”
Io sono rimasto un po' sorpreso, normalmente a me non piace fare foto di nudo perché fondamentalmente io mi reputo molto brutto fisicamente, per cui l'idea di posare nudo, ossia di mostrare quello che io stesso non ho piacere di far vedere, mi ha messo molto in difficoltà. Tuttavia mi sono anche detto “ok”, io sono portato a pensare che di fronte alle paure, a differenza delle persone che scappano, io posso affrontarle, proprio perché so che per poter superare una cosa bisogna attraversarla.

F: Sempre per la conoscenza di sé, allora.

J: Si esatto!

F: Qui troviamo delle foto che hanno mosso la nostra curiosità. Allora io partirei da questa di cui ci ha colpito particolarmente la frase. La leggo un attimo:

“Per anni ho avuto paura di essere o diventare pazzo come lo era mia madre.
Sono stato chiamato pazzo, senza che le persone che me lo dicevano capissero realmente cosa significasse per me.
Mi hanno detto che sono troppo magro, o troppo brutto, o che il mio corpo è brutto, o che non andavo mai bene come sono. Sono stato giudicato severamente anche da chi amo e spesso sono stato ferito da questi giudizi.
Ho avuto sempre paura di ritornare in una stanza particolare in cui ho bruciato una parte della mia vita, troppo presto, troppo in fretta, in un periodo in cui non sarebbe stato lecito nemmeno ferire così un essere umano, perché troppo presto, prima ancora che sviluppi una vera personalità gia' lasci delle bruciature enormi sull'Anima.
Allora mi sono detto: e se per una volta interpretassi e mettessi in scena le mie paure e il mio caos? La mia follia con un atto psicomagico alla Jodorowsky?
Quando riuscirai a prendere i tuoi traumi più grandi, le tue paure e trasformarle in arte, in qualcosa di bello, a rendere meraviglia le tue bruttezze più profonde, il tuo senso di inadeguatezza, quando del tuo dolore ne farai davvero la tua forza, allora e solo allora forse starai facendo i primi passi per iniziare davvero a superarle, quando non avrai più paura di mostrare fuori, quello che non avevi il coraggio di guardare Dentro.
Un passo alla volte decisivo, per superare la parte di me (di noi...) che è mediocre, verso il coraggio, di Essere.
Te.”



J: In effetti c'è molo dietro. Non è un caso che sia stata scelta questa foto come immagine rappresentativa del progetto. In fondo si scorge la scritta neuro psichiatria. Quando ho visto questa scritta sul muro  ho detto: “ Ok, adesso ho capito che cosa voglio fare!”. 
È stato lì che ho capito qual era il senso di tutto questo cioè ho rimesso insieme vari input che si traducono nello scritto che vi ho allegato, nel quale che c'è una riferimento a vari elementi della mia storia passata, delle cose che mi sono state dette, il mio modo di vivere me stesso, la mia fisicità, il fatto di voler dare un messaggio, tutta una serie di cose. In quel momento volevo rappresentare le mie paure, le mie debolezze, gli aspetti non raccontabili, nascosti, in ombra della mia famiglia, del mio vissuto personale, del rapporto con  mia madre.
L'arte tendenzialmente porta a guarire sia chi la fa sia chi la riceve.

F: Quindi mettere in luce ciò che è nascosto. Sia fisicamente, che interiormente.

J: Esatto, la fotografia permette di farlo il testo ti permette di mettere fuori la voce dell'anima. Infatti, concludo dicendo un passo alla volta ti permette di vedere TE.
Chi non vive o non ha vissuto un senso di inadeguatezza o ha subito un giudizio che rappresenta poi una cosa di cui vergognarsi? Tantissimi di noi per cui questo tipo di messaggio può arrivare a toccare tante persone e diventa appunto un progetto più arduo.

F: ok, Poi passiamo a quest'altra foto. Qui c'è un evidente diciamo ricorso al Signore degli Anelli come mai questa scelta?

“Ogni giorno combattiamo una battaglia con il nostro specchio. 
Vediamo un'immagine che dovremmo essere noi, ma non facciamo che riempirla di dardi. Spigoli appunti che lacerano la nostra Anima, che lanciamo ripetendo all'infinito le voci che abbiamo incorporato dentro di noi. Le voci dei nostri genitori che riuscivano sempre a trovarci un difetto anche se avevamo il visto pulito, e i capelli in ordine. 
Le voci dei nostri compagni di classe che si facevano gioco di noi perchéeravamo troppo magri, troppo grassi, non con il seno abbastanza grande, non con la faccia adatta per essere accettati.
Guardiamo il nostro volto e non ci piacciamo. Poco alla volta quel mostro lo interiorizziamo. Non lo vediamo, ma il nostro Gollum interiore c'è, potrebbe essere il guardiano del nostro anello d'oro, l'amore per noi stessi, il pieno accesso alla nostra anima, e invece diventa il nostro carnefice peggiore, lo guardiamo e gli diciamo tutti i giorni che facciamo schifo, che non siamo degni, che siamo indecenti, quanto ci fa paura la nostre pelle nuda, quando ci spaventano i nostri difetti che gli ALTRI potrebbero vedere. Non ci accettiamo noi, come potrebbero accettarci gli altri?
Siamo i peggiori giudici dei nostri difetti, io lo sono stato e lo sono ancora, sembra che massacrarci da soli sia il nostro sport preferito, sembra che Gollum lo vogliamo diventare veramente. 
Così diventiamo evanescenti, il nostro sé, diventa evanescente, scompare, per adeguarsi a quello che vogliono gli altri. Per essere accettati, per far contenti gli altri ed esserne riconosciuti. Dobbiamo osare, osare guardare i nostri mostri, rappresentarli, abbracciare il nostro mostro interiore, il nostro Gollum bavoso, e chissà forse solo in quel modo riusciremo per una volta a prenderci il nostro tessssssooorooo, noi stessi. La nostra parte più fragile.”





J: Come vedi all'inizio parlo di dardi no?! Tutto questo mi ha ispirato questo concetto: noi ci specchiamo, guardiamo di fronte  allo specchio però quello che vediamo di fronte allo specchio non ci piace, quindi in qualche modo vediamo sempre il nostro gemello brutto, vediamo sempre la parte di noi che ci rende terribilmente severi con essa.
Quel mostro è noi, non siamo noi magari ma è una parte di noi che non vogliamo abbracciare, che non vogliamo guardare, che ci fa schifo, che ci fa sentire inadeguati. Quella parte nutrita costantemente dalle critiche  che noi ripetiamo dentro di noi come un registratore impazzito, ripetendo semplicemente quello che ci hanno detto i nostri genitori: “non vai bene così, sistemati i capelli, non ti vestire scollata, non sorridere troppo,  perché vai vestito così?”.
Cerchiamo di renderci belli per gli altri, di renderci adeguati per gli altri, noi come se veramente scomparissimo per essere, per fare, in modo da essere accettati  e per fare in modo che gli altri ci dicano ok puoi esistere, puoi essere visto. Il problema è che noi non ci vediamo.
Gollum cos'è?, è un personaggio che mostra una persona normale che è stata poi corrotta quando è entrata a contatto con l'anello per cui pian piano assume sempre di più degli aspetti più mostruosi. Ha una doppia personalità, una parte sana in cui c'è lui e una parte “insana”, mostruosa, deforme, brutta perché è brutto anche fisicamente nonostante sia il custode di qualcosa di prezioso. Per questo c'è questo parallelismo con Gollum; quando lui dice “il mio Tessssorooo” rimarca la deformazione, perché la voce non è la sua, ma rappresenta, a mio parere, la voce delle persone che vengono tenute dentro di noi, che ci giudicano.

F: Di questo invece che cosa mi vuole dire?? sembra molto un indirizzare il messaggio a qualcuno…

Stanze scure, dentro di noi. 
Ne sbarriamo le porte con muro di mattoni e le chiudiamo a chiave ben serrate.
Stanze nere in fondo alle scalinate delle nostra Anima, che non osiamo mai scendere, per non correre il rischio di incontrare i nostri io più impresentabili.
Le stanze del dolore, le pain room dove abbiamo rinchiuso i nostri demoni interiori.
Quelli che speriamo, che ci illudiamo ogni giorno di poter nascondere agli altri, demoni che ballano e danzano di nascosto dentro di noi, anche se non li vediamo e che ci sono, che aspettano, aspettano la prossima relazione, la prossima persona, il prossimo evento importante della nostra vita. Aspettano, Aspettano.
Non abbiamo mai il coraggio di farla quella discesa, il nostro viaggio nel nostro inferno dantesco personale.
Lì sotto ci aspettano accucciate, delle cose con denti aguzzi e artigli.
Aspettano che qualcuno anche solo osi fare quella discesa per sbranarci e farci a brandelli.
La nostra stanza di Emily è lì, con le nostre paure rinchiuse a farci compagnia, pronte a sussurrarci all’orecchio per il resto della nostra vita cosa non va bene di noi, chiedendoci di non uscire mai più da quella stanza, di non vivere più come ha fatto la grande poetessa Dickinson.
Scendere ogni gradino è doloroso. Ci fa ricordare. Ci fa ricordare quello che volevamo dimenticare, quello che non abbiamo il coraggio di guardare e affrontare ogni giorno, tutte le nostre paure di vivere veramente. Ci fa ricordare che le cose che facciamo ogni giorno per compensare, gli impegni di cui ci abbuffiamo quotidianamente per non pensare, sono cazzate, che non hanno realmente importanza se non affrontiamo i nostri demoni, se non superiamo la nostra naturale paura di vivere.
Sono dovuto diventare un mostro per poter imparare ad accettare quello che mi dicevi, che ero troppo magro per te mentre facevamo l’Amore, che ero troppo brutto, che non avevo un petto abbastanza grande come avresti voluto tu, che ero troppo strano. 
Sarebbe stato più semplice accarezzarmi sulla testa, accogliere i miei mostri, farmi sentire che andavo bene com’ero, ma a te non andava bene. E’ più facile odiare e disprezzare che amare, lo so. Troppo impegnativo amare, perdonare, accettare, voleva dire prendersi delle responsabilita' nei confronti dell'altro, rendersi conto del suo sentire.
Chissà forse accettando l’altro per com’è avresti imparato anche ad accettare e ad accarezzare sulla testa i tuoi di demoni senza credere di ucciderli uccidendo un’altra persona per non affrontare te stessa/stesso, perché non volevi vedere la tua magrezza, la tua bruttezza, la tua anoressia, i tuoi disturbi che proiettavi su di me. Rifiutando me hai rifiutato te stesso/stessa. Rifiutando i tuoi mostri hai rifiutato la parte di te che doveva da sempre guarire. Potevi farlo, potevi guarire ma non ne hai avuto il coraggio, il coraggio di guardati allo specchio e vedere che non ero io il mostro ma eri tu a vedere in me i mostri che pesano sulla tua coscienza e me li attaccavi addosso. Perché ti viene così difficile Amare e di conseguenza Amarti anche se ti riempi tanto le bocca della parola Amore? Perché ti viene più facile accusare gli altri all’esterno che guardare te stesso riflesso allo specchio e accarezzarlo?
Allora sono dovuto diventare un mostro io, interpretarlo, per poter guardare in faccia i miei di mostri e guarirli.
Ho dovuto incarnare l’orrore del mio corpo nudo, lo schifo che mi faccio ogni volta che mi guardo allo specchio e vedo le mie ossa troppo lunghe, il petto troppo magro che a te non piace, la mia schiena storta, il mio collo troppo lungo, il corpo che chissà quale ingegnere divino si è scordato di finire di costruire come hai detto tu. E tu per sapendolo l’hai ucciso con una parola, sarebbe bastata una carezza cazzo, una carezza e una semplice parola: “Vai bene così.” Un abbraccio. E sarebbe stato tutto ok.
Quando spalanchi la porta della tua dark room, la tua stanza oscura, e lasci liberi i tuoi demoni, dopo che sono usciti tutti allora puoi iniziare a vedere la luce in fondo al tunnel, la Speranza in fondo al vaso di pandora, risalire alla Luce e respirare 6 respiri come dice il maestro Bosso.
Sarai sempre un mostro, questo non rendere il tuo petto più maschile, o ti farà ingrassare se sei troppo magro, ma riuscirai forse per la prima volta, 
a Vedere. Te.




J: Si è un indirizzare a qualcuno però è anche vero che nel frattempo avevo fatto delle cose, ho riletto l’Inferno della Divina Commedia, che è la parte più oscura di Dante. Così la foto è molto scura e gli unici “punti di luce” sono rappresentati dalla persona. Quindi ho iniziato a vedere questi elementi cioè la stanza è scura, la porta murata, una porta spalancata come se qualcosa fosse scappato via, poi c'è questa figura che sta seduta sui gradini con le mani così che sembra quasi un demone un  mostro.
Ho iniziato a comporre tutto il testo e mi sono domandato: “ che cos'è questa?”. Una stanza scura dove dentro c'è qualcosa con i denti aguzzi con gli artigli, che sta lì in attesa, ed è una parte di noi che normalmente muriamo viva perché non la vogliamo vedere perché è impresentabile.
Non siamo più sani, accettabili, perdiamo completamente il controllo e abbiamo paura di finire la nostra vita, non siamo più noi stessi… siamo completamente folli. Fare la discesa dantesca e al tempo stesso anche una risalita, per cui è abbastanza complesso come pezzo d’arte, anche quello che ho scritto è un messaggio per un’altra persona, ma in realtà è un messaggio per tutti quelli che leggono, comunque ha un potere molto forte. Credo che tante persone quando l’hanno letto ci si sono identificate.


Siamo ciechi al buio, negli infiniti corridoi di noi stessi. Infiniti perche' mai realmente terminati. Abbiamo vissuto tante prove, siamo caduti cosi' tante volte che ci hanno dovuto mettere su di una sedia a rotelle perche' a furia di cadute ci siamo rotti le ossa cosi' tante volte che non siamo più in grado di sostenerci da soli sulle nostre gambe, allora ci siamo inventati le automobili perche' non riuscivamo più a raggiungerci, ad incamminarci.
Il peso di quello che ci portiamo dentro, degli infiniti corridoi della nostra oscurità e' insostenibile. Abbiamo accumulato un male incurabile dentro di noi, infiniti sassolini ai piedi che non abbiamo avuto il coraggio di toglierci per alleggerirci. Presto abbiamo iniziato a farci guidare da qualcun altro e a lasciare che sia lui a dare una direzione alla sedia della nostra vita. Abbiamo preferito rimanere a guardare comodamente la tv. Le immagini che vedevamo in movimento sembravano coprire il riflesso del nostro viso che ci guardava con gli occhi sbarrati e delusi: "E' questa la vita che volevi fare da bambino? E' questa la persona che volevi diventare?" Ma le immagini riflesse almeno riflettono una parvenza di vita, ti dici, quella vita che hai cosi' tanta paura di allungare le braccia davanti a te e afferrare, se solo...se solo osassi... Con il tempo hai iniziato a scambiare quella parvenza di vita per chi sei. Hai scambiato quei sassi pesanti sulla tua sedia comoda e l'oscurità delle tue prove per la tua vita. Hai iniziato a vergognarti della bellezza originale del tuo volto fino a coprirlo in pubblico con una maschera che ti facesse sentire più sicura. Sei pieno di vergogna e non ti ricordi più che faccia hai. Ti vergogni di sognare e desiderare perche' e' una cosa. Da bambini, cosi' ti hanno insegnato. Sei finito nella tua personale caverna di Platone finendo solo per vedere immagini della realta' in movimento, immerso nel tuo buio. Illusioni. Ecco che senza nemmeno accorgertene sei scivolato nella tua Emily Room personale dove rimarrai fermo al buio per sempre, nella tua oscurità. La verità e' che ti faceva troppa paura la tua luce. Temi cosi' tanto il giudizio degli altri mia cara creatura, che avresti paura di rimanere accecato dal tuo Sole interiore proprio come Icaro.
Da quando la tua luce ti spaventa, al punto che dovevi coprire la tua faccia per accecarti? Eppure facendo cosi' non sarai mai realmente finito e resti indefinito, perche' nessun cammino o percorso può dirsi completo se non ti rendi conto che dal buio devi andare verso la tua luce senza averne paura. Forse non risplenderai sempre allo stesso modo tutti I giorni, ma se lo farai, coinvolgerai altre persone a fare lo stesso, e tante luci ad intermittenza l'una vicina all'altra assieme possono formare una parola: calore umano.
Abbi il coraggio di spalancare le porte che tieni chiuse dentro di e lascia uscire la tua luce guardandola in faccia per farla risplendere, se no, tutto questo dolore che hai patito non sara' servito a niente. 


Poi c’è anche il discorso della sedia a rotelle, che è la metafora del fatto che noi ci sediamo per stare comodi, più comodi nelle nostre sicurezze,nella nostra libertà e lasciamo che sia qualcun altro, la società, la televisione, il nostro capo, la nostra famiglia, la nostra fidanzata, nostro marito, a decidere per noi perché è più comodo sapere che non dobbiamo decidere, tant’è vero che poi non affrontiamo le cose che dobbiamo affrontare.
Ci abbuffiamo di attività di cose che non ci servono: televisione, attività che magari ci impediscono di avere un reale contatto con noi stessi con la nostra anima perché ci spaventa tantissimo, invece di andare a vedere effettivamente con che… cioè qui ancora c’è la paura, ancora non vedo un’uscita, l’uscita ci sarà dopo, infatti ci dopo ci sono poche foto in cui finirò a scrivere cose a riguardo. C’è ancora molto da scrivere.

F: Parliamo un po’ della follia.

J: Come ti dicevo prima mia madre era una persona che ha avuto molto a che fare con la follia, io l’ho avuta in casa, ci ho vissuto quindi sento la follia costantemente vicino a me. A volte si traduce in “paura di diventare folle”, altre volte mi sembra di esserlo con certezza. Vorrei evitare in qualsiasi modo di esserlo, vorrei evitare di domandarmi sempre cosa è reale e cosa non lo è, cosa è sano e cosa non è sano.
Un po’ di follia nella vita ci vuole, perché altrimenti perdiamo il contatto con la nostra parte bambina.    
Come dice uno scrittore, noi siamo un cerchio che è un IO grande, pian piano i vari insediamenti, le critiche, ne tagliano dei pezzi, quindi il cerchio si stringe sempre di più e noi diventiamo sempre più piccoli fino a formare un puntino minuscolo, invece dovremmo recuperare quell'aspetto della follia, cioè forse è il senso di tutto il progetto è capire qual è il punto in cui la follia è ancora sana.
In qualche modo “ci vuole il folle”, perché il folle è colui che ha coraggio, il coraggio di fare quello che le persone normali non farebbero mai.

F: e quindi che cos'è per lei la follia?

J: Che cos'è per me la follia? La follia forse è il coraggio di smettere di vivere aspettandosi di fare qualcosa che gli altri vorrebbero. Cioè il folle è l'unica persona libera perché è quello che fa cioè a dispetto del fatto che quello che fa potrebbe ferire o danneggiare gli altri però comunque lo fa da persona libera cioè non fa una cosa condizionato. Il folle è libero dalle condizioni. La follia è la libertà dalle condizioni, da tutte le condizioni, accettabili o meno accettabili, ma è la libertà da tutte le condizioni.

F: Di questa esperienza cosa l'ha colpita di più?

J: Sicuramente che un progetto nato per caso, per gioco, senza un'idea, abbia potuto trasmettere dei messaggi così profondi.
Mi ha colpito anche la bravura di Mario nel saper rappresentare, involontariamente con la sua sensibilità, il mio mondo interiore. Si, questa cosa mi è piaciuta tantissimo!

F: Ha altri progetti futuri legati a questa tematica?

J: Legati a questa tematica per adesso no, però non escludo di fare altri progetti fotografici, o di scrittura o magari degli scatti prodotti da me. Vorrei fare una cosa legata alla musica perché sono anche cantante, scrivo. Un giorno vorrei diventare un cantautore e fare un progetto con insieme musica, fotografia, teatro che utilizza fotografia, testo, luci, location, lavoro con il pubblico, psicologia, energia, quindi far in modo di creare qualcosa che vada a lavorare con i dolori delle persone.

F: L'intervista è finita. La ringraziamo di cuore.

J: Grazie a voi!

Dott.ssa Francesca Cappabianca


Dott.ssa Francesca Cappabianca