martedì 10 gennaio 2017

COME SUPERARE LA DIPENDENZA DA PHON

C’è chi parla di ossessione, chi invece la definisce una dipendenza, sta di fatto che il confine è sottile per coloro che utilizzano il phon come mezzo per rilassarsi e liberare il cervello da pensieri negativi.


Esistono infatti molte persone accomunate dalla predilezione per questo apparecchio non solo per la sua funzione pratica di asciugacapelli, ma per il rumore che produce, fonte di calma e rilassamento.
Dalle varie testimonianze emerge che sono diversi i motivi per cui una persona  sente l’impulso di accedere il phon. In primis il fattore rilassamento, che è anche quello più quotato; sembra infatti che tale rumore aiuti a studiare, facilitando la concentrazione, ma anche a pensare, a riflettere e dormire. Molti riferiscono di sentirsi  addirittura coccolati come in una sorta di cappa da cui si sentono protetti e isolati dal resto del mondo.
Il phon può essere tenuto acceso per molto tempo, anche otto ore di fila, soprattutto nelle ore notturne, perché il fatto di lasciarsi avvolgere dal suono facilita, come si è accennato, l’addormentamento e il sonno.
Tutto questo può però portare risvolti negativi nella vita quotidiana; può sopraggiungere la paura di  allontanarsi da casa per molto tempo e possono manifestarsi vere e proprie crisi molto simili a quelle dell’astinenza. Inoltre il dipendente da phon non rimarrà mai senza l’oggetto del proprio desiderio, assicurandosi così che in casa ci sia sempre uno o più phon di riserva per sopperire il rischio di rimanerne sprovvisto.  Come ogni dipendenza quindi richiede un alto impiego di energie psicofisiche, ma anche economiche.
È chiaro che non mancano i pericoli materiali legati ad un utilizzo spropositato del  phon: anche se quello di riscaldarsi è il motivo primario per cui viene utilizzato l’asciugacapelli, sembra che molte volte le persone puntino l’aria calda sulle mani e sui piedi provocandosi delle ustioni e vescicole, inoltre, non sono mancati episodi in cui il phon acceso ha provocato gravi rischi di incendio magari perché utilizzato sotto le lenzuola.

DA COSA È SCATENATO IL MECCANISMO PER CUI NON SI RIESCE A FARE A MENO DI TENERE IL PHON ACCESO?


Diversi studi hanno confermato che il rumore del phon è un rumore bianco o white noise. È quel tipo di rumore che non dà fastidio anzi distende gli animi, emettendo dei suoni che deliziano l’orecchio dell’uomo. Inoltre queste melodie sembrano coprire tutti quei rumori fastidiosi a cui siamo giornalmente esposti.
In alcuni casi sono consigliati perché aumentano la concentrazione. La loro continua ripetizione porta ad una “non informazione della psiche” la quale automaticamente si allontana da pensieri complessi e va in una sorta di stallo.
Anche i rumori naturali come il soffio del vento, il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli, lo scroscio della pioggia sono da considerare white noise, piacciono al cervello tanto da non registrarli come disturbanti perché il ritmo e la ripetitività portano addirittura a ignorarli.
Secondo la psicologia dinamica il rumore del phon ricorda i rumori intrauterini che il feto sente durante la gestazione. Nel caso in cui l’individuo non abbia avuto la possibilità di rendersi indipendente dalla figura materna, ritornare, anche solo inconsciamente, nello stato embrionale sembra arrechi un profondo senso di sicurezza e protezione, “un legame con il proprio legame dipendente”, una simbiosi con il proprio caregiver.
Come tutte le dipendenze psicologiche anche questa, seppur non riconosciuta a livello scientifico, crea seri problemi se non affrontata in tempo, cronicizzandosi, ed il tempo impiegato in compagnia del proprio phon può aumentare progressivamente incidendo sulle normali attività quotidiane della persona.
Questa nuova tendenza rappresenta  un  modo come altri di sopperire a un qualche tipo di mancanza. È il cervello che segnala un bisogno della persona, pertanto concentrarsi sul suo significato può aiutare ad  affrontare problematiche più profonde che si nascondono dietro il suo utilizzo.
Dott.ssa Ivana Siena


COME STAR BENE CON GLI ALTRI. L'AUTOSTIMA

Una delle maggiori richieste rivolte a specialisti della psicologia è come migliorare il rapporto con gli altri, con il partner, con i genitori, con i colleghi; molti non sanno che stanno parlando della loro autostima.


La tendenza a percepire l’altro con cui si entra in relazione come “problematico” è molto comune e racchiude difficoltà di comunicazione per le quali non si riesce a vedere chiaramente una possibilità di risoluzione. 

Questa sensazione costante e pervasiva ha in realtà a che fare con la percezione che si ha di sé, spesso messa in crisi proprio dagli altri intorno che, sempre attraverso la comunicazione, ci danno conferme o apparenti dimostrazioni di ciò che siamo. 
Non sempre, però, l’immagine che gli altri ci rimandano indietro è corretta, oggettiva, spassionata; è anzi facile che sia distorta da pregiudizi, bisogni, e tutto ciò che necessitano di vedere in noi per esorcizzare le loro paure. 

L’idea che abbiamo di noi stessi è una costruzione molto complessa, della quale non siamo nemmeno pienamente consapevoli.
L’autostima è proprio la percezione che si ha di sé, quella che si costruisce proprio attraverso i feedback di cui parlavamo sopra. Si possono individuare almeno cinque importanti aree della vita quotidiana attraverso le quali si costruisce: quella sociale, quella scolastica/professionale, familiare, estetico-corporea, intellettivo-culturale (la sensazione di avere delle abilità mentali ed una cultura adeguate e valorizzate nel proprio ambiente).  

Cosa comportano i diversi livelli di autostima


Questa valutazione di sé è dinamica e si muove nel tempo su un continuum che prevede due estremi, quello positivo e quello negativo. 
La bassa autostima aumenta il senso di insicurezza ed inadeguatezza, la convinzione di non essere in grado di  poter contare su se stessi e di essere quindi padroni della propria vita in quanto il pensiero e, ancora peggio, il giudizio degli altri sono fondamentali alla propria sopravvivenza emotiva. La prima cosa di cui è importante rendersi conto è il fatto che già la semplice idea che ci siamo fatti di noi stessi tende a condizionare il nostro comportamento in modo tale da “autoconfermare” l’idea stessa: è il cosiddetto effetto della “profezia  autoavverante”

Nei casi di bassa autostima, la profezia è di tipo catastrofico e viene quindi confermata di volta in volta dal bisogno impellente di fare di un altro esterno il nostro punto di riferimento in quanto “Io non sono capace da solo” di decidere, agire, pensare. Nei casi più gravi sorge una dipendenza verso l’esterno che conferma quindi il proprio sentirsi inutili e invisibili.

 L’eccesso di autostima


Non da meno risulta l’eccesso opposto del continuum in cui un’alta autostima, che, come dicevamo, è necessaria per star bene con se stessi e con gli altri, può diventare a suo modo un  problema.
Troppa sicurezza di sé,  la convinzione di star facendo sempre e comunque la cosa giusta, impediscono una visione obiettiva della realtà.
Questa modalità prevede che la persona non riesca più a confrontarsi con il mondo esterno e ritenga di possedere una saggezza interna che non le permette di accorgersi dei propri errori. 

 Cosa fare per migliorare la propria autostima


Non si nasce con la giusta autostima, essa va piuttosto coltivata, curata, alimentata durante il corso dell'esistenza. Una sana autostima permette di percepirsi in modo realistico e di riequilibrarsi costantemente e in maniera indipendente dal giudizio altrui. 

La lotta al miglioramento continuo richiede un impegno costante nel tempo e una volontà forte di mettersi in gioco in prima persona, lavorando sulle proprie percezioni e su ciò che le ha radicate a partire dall’infanzia fino all’età adulta. 

Una chiave di svolta importante inoltre sta nel valore soggettivo della diversità e della differenziazione rispetto agli altri e al mondo esterno, dove per differenziazione si intende autodefinirsi ed individualizzarsi, per evitare la fusione relazionale e conservare l'obiettività emotiva  all'interno del sistema a cui si appartiene.



Dott.ssa Ivana Siena